I benefici di avere un animale domestico

“L’affetto per un cane dona all’uomo grande forza” diceva Seneca. E per quanto riguarda i gatti? E le capre? In generale: avere un animale in casa fa bene? La risposta è sì! Ecco perché:

Salute fisica

Avere un animale in casa riduce il rischio di infarti e ictus: nel caso di cani e gatti parliamo di una diminuzione delle probabilità di soffrire di malattie cardiovascolari addirittura di un terzo. Non solo, si è più in salute in generale: è stato osservato che chi possiede un animale domestico visita il dottore il 15% di volte in meno rispetto a chi ne è privo.
Alcuni animali possono introdurre nelle nostre case una serie di batteri con cui altrimenti non entreremmo in contatto: un evento positivo, che rafforza il nostro sistema immunitario e può inibire lo sviluppo di allergie nel corso della vita. Un aspetto particolarmente importante per i bambini, che inoltre riducono la possibilità di sviluppare asma durante la crescita se vivono a contatto con i cani.

Salute mentale

Interagire col proprio animale domestico riduce lo stress: abbassa i battiti cardiaci e aumenta il livello di ossitocina, l’“ormone dell’amore”.

È dimostrato che avere un animale in casa influisce sul nostro benessere psicologico: sia esso un cane, un gatto, una capra, un pesce, uno scimpanzé o un serpente. I benefici sono tuttavia maggiori quando la compagnia è canina… Difficile togliere a Fido il titolo di miglior amico dell’uomo!

Negli ultimi anni la pratica della “pet therapy” si sta diffondendo sempre di più: si tratta dell’intervento terapeutico, impiegato per affrontare diverse patologie, fondato sulla relazione uomo-animale. Vengono coinvolti per questi trattamenti anche animali non strettamente domestici, in particolare gli asini o addirittura i delfini.

Un altro studio, infine, dimostra che dormire in compagnia di un amico a quattro zampe migliora la qualità del sonno.

Un dessert DOCG

Se c’è un vino fresco e aromatico da servire durante aperitivi o al momento del dessert, quello è il Brachetto: un prodotto d’eccellenza nel panorama vitivinicolo italiano. Rinomato per la sua aromaticità e vivacità al palato, il Brachetto ha una gradazione alcolica bassa che gli permette di essere usato per realizzare golosi dessert al cucchiaio. Oppure in abbinamento a dolci che ne richiamano le note fruttate come crostatine alle fragole o torte al cioccolato.

Una storia antica

Questo rinomato spumante viene prodotto tramite il metodo Charmat con uva Brachetto in purezza, un vitigno aromatico a bacca scura coltivato in Piemonte nella zona di Acqui Terme sin dall’antichità. Con l’avvento della fillossera e un calo di popolarità dei vini frizzanti dolci, questo vitigno perse l’interesse dei coltivatori fino al 1996, quando ricevette il riconoscimento DOCG.

Un tempo si pensava che quest’uva fosse legata alla francese Braquet, ma recentemente gli ampelografi hanno ammesso di essere davanti a due varietà diverse, soprattutto per grado di aromaticità. Gli acini del Brachetto infatti sono caratterizzati da un forte profumo di rose e frutti rossi che viene trasmesso al vino, ottenendo un prodotto dal sentore fresco e fruttato.

La ricetta

Oltre ad essere perfetto insieme a formaggi Con il Brachetto d’Acqui DOCG puoi preparare un delizioso sorbetto arricchito con fragole fresche, ideale dopo una cena d’estate.

  • 0,37 l Brachetto d’Acqui DOCG
  • 380 gr Fragole
  • 400 gr Zucchero
  • Qualche fogliolina di menta

Lava le fragole e mettile a marinare nel Brachetto in frigo per circa mezz’ora, dopodiché frulla il tutto unendo lo zucchero e lo stabilizzante scelto. Frulla il tutto unendo lo zucchero e aggiungendo eventualmente uno stabilizzante adatto. Metti il composto all’interno della gelatiera e lascia mantecare. Servi decorando il tuo sorbetto con alcune fragole fresche e delle foglioline di menta.

Un marsupiale da compagnia

Originario della Nuova Guinea e dell’Australia, il petauro dello zucchero (Petaurus breviceps) è un dolce marsupiale molto simile a un opossum, e fa parte degli scoiattoli volanti. Si tratta di un animale di piccole dimensioni che vive nella foresta pluviale in colonie di circa 12 esemplari. Per via del suo carattere estremamente socievole, il petauro non è fatto per vivere in solitudine, e se desideri adottarne uno, dovrai assicurargli una vita appagante sotto tutti i punti di vista. Leggi questo articolo e scopri come fare!

Aviatori provetti

Conosciamo più da vicino il petauro, i suoi comportamenti e le sue esigenze. È un animale capace di effettuare voli planati per spostarsi da un ramo all’altro. Questo è possibile tramite il patagio, una membrana cutanea che unisce gli arti superiori a quelli inferiori e di cui sono muniti molti altri mammiferi volanti come i pipistrelli. Durante il volo, che può coprire una distanza di ben 45 metrila coda funge da timone, permettendogli anche di aggrapparsi ai rami oppure di trasportare del materiale per costruire il nido. Come ricostruire in casa l’habitat ideale per un petauro? Meglio optare per una voliera di circa 2 metri per 2, arricchita con arbusti e piante dalle quali i petauri possono volare e planare liberamente.

Esperti in comunicazione

I petauri sanno come esternare le loro emozioni e i loro disagi (paura, fame, tristezza o rabbia) tramite suoni molto diversi fra loro. Il crabbing è il primo che si sente udire dal proprio petauro, una sorta di gracchio prodotto quando viene disturbato, ma niente paura: non appena riconoscerà l’odore del padrone smetterà. Il Barking è un insieme di piccoli e brevi latrati che il petauro sfrutta per richiamare l’attenzione del padrone e dei suoi simili. Lo Sneezing, come indica la stessa parola, è una specie di starnuto emesso dall’esemplare dominante per aver la precedenza sul cibo. L’hissing è un vocalizzo flebile tipico dei petauri in difficoltà o prodotto dai cuccioli quando hanno fame. Clicking e chattering invece vengono spesso confusi tra loro poiché entrambi suoni simili a un batter di denti. Il primo è un suono più morbido e dolce, emesso dall’animale quand’è contento, mentre il chattering è più profondo ed è usato per esprimere dissenso. Infine ci sono chirping e singing, due vocalizzi molto particolari che i petauri emettono per esprimere gioia, affetto e vicinanza soprattutto nei confronti dei simili.

Animali sociali

Abbiamo visto come il petauro sia abituato a vivere in branco ed essere lasciato da solo, senza il padrone o un suo simile, potrebbe farlo cadere in depressione. Il consiglio delle associazioni che veicolano le adozioni di petauri dello zucchero è quello di prendere almeno due esemplari, in modo che si tengano compagnia quando il padrone è fuori casa. Una volta rientrato, questo dovrà sicuramente preoccuparsi di interagire con i piccoli marsupiali, accarezzandoli per abituarli al contatto con l’essere umano.

L’erba del Tennis è sempre più verde

Ogni anno a Wimbledon i principali nomi del tennis internazionale si scontrano sui 18 campi a disposizione, vestiti completamente di bianco come vuole la tradizione. Nello stesso periodo anche a StoccardaBelino, in Olanda e persino in Italia – a Gaiba (RO) per l’esattezza – le partite di tennis si disputano all’aperto su campi in erba naturale, una superficie che agevola di più i movimenti dei giocatori rispetto alla terra battuta, ma necessita di una manutenzione costante. Scopriamo in cosa consiste.

I mesi di lavoro più intensi per i giardinieri sono sicuramente marzo, aprile e maggio, quando bisogna prepare i campi all’imminente stagione di gioco. Tutte le superfici vengono fertilizzate e irrigate costantemente, quindi pressate con pesanti rulli per appiattirle e uniformarle. I campi sono trattati con antiparassitari per debellare lumache, funghi ed erbacce, rendendo la superficie più brillante e resistente. Durante l’anno l’erba dei campi viene lasciata crescere per essere poi tagliata a meno di 1 centimetro di altezza a giugno, quando è ormai tempo di tracciare le linee di campo. Dopo la stagione di gioco si procede infine alla risemina.

Sementi

Prima dello storico capo giardiniere di Wimbledon Eddie Seaward, l’erba era frutto di un misto: 70% loietto perenne (Lorrina Perennial Ryegrass) e 30% festuca (Barcrown Creeping Red Fescue). Questa combinazione garantiva un manto più soffice ma decisamente meno regolare e affidabile nel rimbalzo. Nel 2001 Seaward introdusse il loietto inglese (Perennial Ryegrass) che assicurava un rimbalzo della pallina molto più rapido, regolare e prevedibile. Questo tipo di erba è quello tuttora più usato, nonostante si possa optare per un mix di sementi in base al clima locale.

Accortezze

Quando si gioca un torneo sull’erba, la temperatura e l’umidità del terreno devono essere costantemente monitorate, così come il grado di usura dei campi, la durezza della superficie e la capacità di rimbalzo della pallina. Per contrastare la forza del sole e il caldo estivo, i campi vanno irrigati quotidianamente, anche più volte al giorno.

L’alternativa

Dove non è possibile usare l’erba naturale si ricorre a quella sintetica, più economica e meno dispendiosa in fatto di manutenzione. Un campo del genere non dovrà essere irrigato o appiattito e, grazie alle sue ottime proprietà drenanti, potrà essere utilizzato anche dopo una giornata di maltempo.

Coltivare i pomodori in casa

Insieme a insalata ed erbe aromatiche, anche i pomodori possono essere coltivati in casa, in terrazzo o sul balcone. Scopriamo di cosa hai bisogno per dar il via alla tua coltivazione domestica!

Per iniziare

I pomodori sono ortaggi che richiedono grandi quantità di luce e calore per giungere a maturazione. Per questo vanno coltivati subito dopo la stagione invernale, mettendoli a dimora in una zona molto illuminata. Sarà anche importante nutrirli a cadenza regolare, concimandoli una volta a settimana con un composto ricco di potassio per fornire alle piante tutto il nutrimento necessario.

In un ambiente ristretto come un balcone o un terrazzo il pomodoro andrà coltivato in vaso. Le varietà da prediligere sono quelle a crescita determinata, che cessano il loro sviluppo vegetativo al momento della fioritura, contenendo così le dimensioni della pianta. La semina avviene solitamente tra marzo e aprile, quando le temperature si assestano (anche di notte) sopra i 13 °C. La pianta inizierà a dar frutto  tra maggio e giugno, terminando verso ottobre nelle zone più fredde e intorno a novembre negli ambienti più caldi.

All’opera!

Procurati dei vasi capienti e profondi, del terriccio universalesabbia e argilla espansa. Mescola rispettivamente un pugno di sabbia e uno di argilla espansa ogni quattro pugni di terriccio. Poni sul fondo del vaso uno strato di argilla espansa di almeno 5 centimetri, poi riempi col terriccio. Scava una piccola buca al centro, inserisci 2-3 semi di pomodoro (non tutti germineranno) e ricopri. Innaffia in abbondanza e attendi: se il clima è favorevole, vedrai apparire i primi germogli entro 10 giorni. Nel caso più semi generino una pianta, elimina quelle meno sviluppate a favore di quella più robusta.

Per evitare che la tua pianta di pomodoro si pieghi o si spezzi per il peso dei frutti, dovrai prevedere l’uso di sostegni. Anche un semplice palo verticale infisso nel terreno a cui legare il fusto della pianta sarà perfetto per mantenerla eretta e salda. Si possono usare fascette oppure dello spago, purché ci si ricordi di controllare spesso le legature.

Pronto a cimentarti nella coltivazione casalinga di questo ortaggio?

Perché il caffè ci tiene svegli?

Oltre 100.000 tonnellate di caffeina vengono consumate ogni anno nel mondo: l’equivalente di 14 volte il peso della Torre Eiffel. La maggior parte della caffeina la assumiamo dal caffè e dal tè, ma anche da diverse bevande gassose, dal cioccolato e altri alimenti.

La caffeina ci aiuta a sentirci svegli, energici, concentrati e di buon umore, anche se non abbiamo dormito abbastanza. D’altro canto, può innalzare la pressione sanguigna e farci sentire ansiosi.

La sostanza si è evoluta nelle piante, dove serve diversi scopi: in grandi dosaggi, come nelle foglie e semi di alcune specie, risulta tossico per gli insetti e protegge l’organismo. Se reperibile in basse percentuali invece, come nel nettare, può aiutare gli insetti a ricordare la pianta e a tornare a visitarla, facilitando l’impollinazione.

Nel corpo umano, la caffeina si comporta come uno stimolante del sistema nervoso centrale, perché inibisce una molecola che induce il sonno: l’adenosina. I nostri neuroni hanno dei recettori che accolgono l’adenosina, attivando una reazione che ci rende sonnolenti. La caffeina ha una composizione simile all’adenosina, e occupa questi recettori impedendo l’arrivo dell’adenosina. Di conseguenza, ci sentiamo meno sonnolenti.

Inoltre, può stimolare sensazioni positive: in alcuni neuroni, l’adenosina blocca il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore che ci fa provare piacere. Se la caffeina blocca l’adenosina anche in questi recettori, la dopamina continua ad essere rilasciata.

Gli effetti della caffeina sul sistema nervoso hanno risultati benefici a lungo termine: riducono il rischio di malattie quali il Parkinson, l’Alzheimer e alcuni tipi di cancro. La caffeina aumenta anche la capacità del corpo di bruciare i grassi: oltre una certa soglia in alcune discipline sportive è considerato doping!

Certamente non tutti gli effetti della caffeina sono positivi: se assunta in quantità sproporzionata può aumentare pressionebattito cardiaco e causare eccessiva diuresi e diarrea, oltre a suscitare ansia insonnia.

Il corpo si adatta a un’assunzione regolare di caffeina. Se i recettori di adenosina sono intasati spesso dalla caffeina, il sistema nervoso sviluppa un numero maggiore di recettori: di conseguenza, per avere lo stesso effetto di inibizione della sonnolenza, servirà sempre più caffeina.

A causa di questo eccesso di recettori, se si blocca improvvisamente l’assunzione di caffeina, si potrebbe provare mal di testa, stanchezza e cali di umore. Per fortuna nel giro di pochi giorni il corpo si adatta nuovamente, eliminando i recettori in eccesso, e possiamo sentirci di nuovo al massimo della forma.

Quattro invenzioni, una tradizione

Secondo un’indagine del 2016 in Italia il 97% delle persone beve caffè. Non è tutto: in media ognuno di noi ne beve quattro al giorno. Se non sei in quel 3%, ti interesserà sapere da dove parte l’amore incondizionato per la bevanda che ci tiene svegli nel nostro Paese. In particolare sarà curioso conoscere gli inventori dei primi strumenti che ci permettono ancora oggi di assaporarla.

La “cuccumella”

Babbà, casatiello, pizza fritta, salsiccia e friarielli, mozzarella di bufala. Andiamo avanti? La tradizione culinaria napoletana è praticamente infinita. Nel capoluogo campano, bisogna dirlo, sono abituati anche a considerare proprie le ricette tipiche di altri luoghi. Ma se un cantautore come De Andrè, in una delle sue canzoni più famose, recita in dialetto napoletano frasi sulla bevanda amara, poco importa dove vennero impiantate le prime coltivazioni di caffè.

A Napoli nacque la “cuccumella”, termine dialettale che indica il materiale (rame) di cui era fatta una macchina del caffè inventata dal parigino Morize.

A inizio ‘900 lo strumento giunse nelle case del popolo napoletano, prendendo il nome appena citato, ma cambiando da subito alcuni pezzi di cui era composta e sopratutto il materiale: dal rame si passò all’alluminio.

È alquanto complicato descrivere il funzionamento della cuccumella, perciò si consiglia la visione di video dimostrativi sul web, decisamente più comprensibili.

Certo è che, secondo celebri testimonianze (una scena di “Questi fantasmi” del maestro Eduardo de Filippo), i tempi di attesa per gustare la bevanda erano lunghi, molto lunghi. 

La prima macchina per l’espresso

La necessità di una caffettiera che riuscisse a produrre caffè in tempi brevi si fece sentire nel nostro Paese già qualche decennio prima dell’invenzione della cuccumella.

L’imprenditore nel settore alberghiero Angelo Moriondo voleva offrire ai clienti dei suoi bar e alberghi esclusivi di Torino la possibilità di bere un “caffè al volo”, come si suol dire.

Nel maggio del1884, in occasione dell’Expo Generale di Torino, Moriondo presentò ilprimo brevetto intitolato “Nuovi apparecchi a vapore per la confezione economica ed istantanea del caffè in bevanda. Sistema A. Moriondo”.

Costruì alcuni prototipi della prima macchinetta per caffè espresso, limitandosi a una produzione che soddisfacesse i propri locali. Non venne perciò effettuata una realizzazione su larga scala della nuova macchina in grado di servire in tempi brevi un caffè dal gusto intenso.

Nel 1901 il Milanese Luigi Bezzera intuì le potenzialità della nuova caffettiera e apportò alcune migliorie tecniche, lasciando all’industriale Desiderio Pavoni il compito della produzione in serie, che prese il via nel 1905, registrando un notevole successo.

Partendo dal brevetto di Moriondo e sfruttando i perfezionamenti di Bezzera, nel 1947 Achille Gaggia decise di sostituire l’acqua al vapore (che permetteva la fuoriuscita del caffè liquido da quello in polvere). Aumentando la pressione all’interno del macchinario, riuscì a realizzare una macchinetta decisamente rivoluzionaria: quella che dava vita all’amata crema di caffè!

La moka

La città di Mokha nello Yemen, una delle più rinomate zone di produzione di caffè, ha dato il nome alla macchinetta presente nelle case degli Italiani da ormai 87 anni.

Nel 1933 l’industriale Alfonso Bialetti brevettò la moka: uno strumento che, tramite le ottime doti commerciali dei suoi venditori, si è guadagnato spazio nei mercati di tutto il mondo. Si stima che, ad oggi, siano state vendute circa 300 milioni di caffettiere.

Secondo alcune voci popolari, Bialetti ebbe la brillante idea mentre osservava delle lavandaie che facevano il bucato. Le vasche dove stavano lavando i vestiti avevano al centro un tubo dal quale fuoriuscivano acqua calda e sapone, distribuendosi omogeneamente sui panni. Tale procedimento portò l’industriale ad approfondire i metodi di bollitura e distribuzione dell’acqua, metodi che posero le basi per il progetto della caffettiera.

L’inventore, nei primi anni, presentava personalmente a potenziali clienti la moka, inaugurando in tal modo le vendite.

Il successo planetario della storica macchinetta è però merito del figlio del suo inventore: Renato Bialetti. Sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti, l’imprenditore decise di lanciare il marchio “Moka Express” all’interno dei più importanti spazi pubblicitari, inizialmente nazionali, poco più avanti internazionali.

Due furono tuttavia i veri momenti di svolta che portarono la moka nelle case di tutti (o quasi) gli Italiani. Alla fiera di Milano (la più importante della Penisola) del 1956 Renato Bialetti fece tappezzare i muri della città di “moke giganti”.

Il lungimirante imprenditore fece scacco matto sfruttando la larga diffusione della televisione in quegli anni: fece disegnare l’omino con i baffi (simbolo ancora oggi del marchio Bialetti), un divertente personaggio animato che veniva trasmesso durante il programma Carosello, la trasmissione più seguita dagli Italiani.

Da quel momento si passò dall’iniziale produzione di circa mille pezzi all’anno alla bellezza di 18000 pezzi al giorno!

Tralasciando le impressionanti qualità professionali di chi ne ha curato il marketing, la moka è considerata una delle migliori espressioni dell’artigianato italiano. È esposta infatti alla Triennale di Milano e (questo ci fa capire l’apprezzamento di cui gode in tutto il mondo) al museo MoMa di New York.

Un piatto di pane

Se diciamo “pane” a cosa pensi?

La risposta è influenzata da tanti fattori, soprattutto di matrice culturale. In Italia per esempio il pane è più comunemente la pagnotta, mentre in Francia penseranno subito a una fragrante baguette. Ma sapevi che può addirittura trasformarsi in un piatto da portata?

Per farti capire di cosa stiamo parlando, ti diamo un nome: injera. Quello che descrive un pane a base di farina di teff, un cereale privo di glutine tipico di Etiopia ed Eritrea. Con 0.8 mm di diametro, il seme di teff è il più piccolo al mondo, disponibile nei colori rosso oppure avorio (la varietà apparentemente più pregiata); se ne ricavano due farine, entrambe con uno spiccato sapore tostato che, a tratti, ricorda quello della nocciola. Con queste si possono creare panificati naturalmente senza glutine e ad alto contenuto proteico, ricchi di calciofibre e amminoacidi essenziali come la lisina, importante precursore della vitamina B3.

Uno di questi è proprio il pane injera, simile a una spianata e realizzato con sola farina di teff e acqua. Secondo la tradizione, l’impasto deve lievitare 3-4 giorni prima di essere cotto su una piastra di terracotta. Successivamente si può scegliere se servire l’injera a fette oppure intera.

L’Etiopia nel piatto

In questo stato africano il pane injera è parte del piatto nazionale, il wot, uno stufato piccante di pollo, manzo e agnello oppure vari tipi di pesce. A caratterizzare il wot è il il berberè, un insieme di peperoncino, aglio, chiodi di garofano, coriandolo e zenzero fresco che dona allo stufato un sapore pungente. Un’altra variante del wot, consumata in Eritrea, è lo zighinì, un piatto unico costituito da carne, pane injera, legumi e verdure. In entrambi i casi, l’injera funge sia da piatto che da posata: strappando un piccolo lembo di questa piada, lo si può usare per prendere il cibo e consumare il pasto senza usare cucchiai o forchette.

A caccia di more

Insieme a lamponi, fragoline e mirtilli, le more sono prelibati frutti di bosco presenti su tutto il nostro territorio. Si tratta di una pianta selvatica appartenente alla famiglia delle Rosacee, capace di crescere con grande facilità ma difficile da eradicare, fattore che la porta a essere considerata infestante. I suoi frutti sono costituiti da piccole drupe che cambiano gradualmente colore, passando dal verde al rosso e, infine, al nero. Giungono a maturazione nel pieno dell’estate, precisamente in agosto.Tuttavia i cambiamenti climatici hanno notevolmente anticipato queste tempistiche, portando molti roveti a riempirsi di more mature già nel mese di luglio.

Proprietà

Le more sono ricche di vitamine, sali minerali, flavonoidi e antocianine, sostanze dalle proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Fonti di fibre, garantiscono un corretto funzionamento dell’intestino, svolgono un’azione depurativa e sembrano limitare anche il rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari. Infine, il loro sapore rinfrescante e il ridotto contenuto di zuccheri le rendono ideali per chi segue una dieta ipocalorica.

Occhio alla raccolta

Raccogliere le more selvatiche può essere rischioso in quanto le spine sono presenti sul retro delle stesse foglie. Nelle coltivazioni – diffuse perlopiù in Trentino Alto Adige e nelle aree rurali di Lombardia ed Emilia Romagna – non c’è il rischio di pungersi poiché le varietà di more utilizzate sono prive di spine. Contrariamente a quelle selvatiche che tendono a crescere in maniera disordinata, questa tipologia di more ha un portamento semi-eretto, ideale per la coltivazione in vaso.

Un frutto, tante ricette

Sulle fette biscottate, su una crostata o una crêpe, la marmellata di more può rendere davvero speciale la nostra colazione. Oltre che per realizzare golose conserve, questi frutti possono essere surgelati e usati in seguito per decorare dolci o preparare freschissimi frullati! Le more possono anche essere sciroppate a freddo o ancora gustate al naturale in una ricca insalata.

Un gioco da gatti

Sensibili, curiosi ma anche molto intelligenti, i gatti possono essere facilmente ingaggiati attraverso i giochi di attivazione mentale. Si tratta di attività ludiche particolarmente coinvolgenti che aiuteranno l’animale a sviluppare le sue capacità cognitive e a sfogare le proprie energie. Così come i cani, anche i felini hanno bisogno di muoversi e di interagire con lo spazio circostante, specie durante le ore trascorse senza il proprio padrone. Il gioco di attivazione mentale è un ottimo modo per tenere impegnato il proprio gatto quando è solo in casa. Ma anche quando è in nostra compagnia, proporgli un’attività divertente e stimolante potrà essere utile a rinsaldare il rapporto animale-padrone.

Prendi spunto da questo articolo e realizza anche tu alcuni divertenti giochi d’intelligenza da fare a casa col tuo gatto!

Una gustosa piramide

Ricicla tutti i rotoli di carta assorbente o carta igienica che hai in casa per costruire una gloriosa piramide. Incolla uno sopra l’altro i rotoli, tenendoli in posizione orizzontale, e inserisci all’interno dei vani un biscotto o un croccantino che il tuo gatto dovrà cercare di raggiungere ed estrarre. In questo modo l’animale sarà impegnato a lungo, esercitando l’olfatto e la mente al fine di scovare i premi nascosti.

Palline-scrigno

Taglia l’anima di un rotolo di carta igienica in modo da ricavarne diversi anelli, quindi inseriscili uno dentro l’altro con inclinazione differente, fino a creare una pallina cava. Al suo interno metti dei croccantini e lascia che il gatto la faccia rotolare per casa, cercando di tirar fuori i premi e stimolando nel contempo il suo naturale istinto predatorio.

Sfiziosi rompicapo

Sapevi che gli animali adorano cimentarsi nei rompicapo? Costruirne uno dunque potrà aiutarti ad allenare i sensi del tuo micio dandogli occasione di divertirsi e…Soddisfare il suo appetito! Munisciti di un foglio di compensato e, con della colla a caldo, fissa sopra dei rotoli di carta igienicabicchieri di plastica e qualche piccola scatola, ciascuna col proprio coperchio. Incidi i coperchi delle scatole per ricavare dei buchi da cui il gatto potrà raggiungere i premietti inseriti all’interno. Nascondi altri golosi premi nei bicchieri e fra i rotoli per farlo divertire ancora di più e più a lungo!

La scatola delle meraviglie

Come un vero e proprio scrigno, la scatola in questione custodirà succulente meraviglie, ma anche biglie e giocattoli cari al tuo micio. Per costruirla basta munirsi di un taglierino e creare sul coperchio della scatola delle piccole aperture da cui il gatto fiuterà e cercherà di tirare fuori i bocconcini o i giochi (come palline o piccoli peluches) nascosti all’interno.