Birra e stranezze

Il magico universo brassicolo è abitato da persone estroverse, creative e spesso anche un po’ sbadate. Non contemplano i bicchieri mezzi vuoti e se c’è qualcosa a cui tengono durante una delle feste più attese e affollate dell’anno non è tanto il portafogli, quanto il proprio boccale. Lettori e lettrici, addentriamoci in un mondo di luppolate stranezze!

Esiste la paura del boccale vuoto?

Se te lo stai chiedendo, sì e ha persino un nome: cenosillicafobia, dal termine greco kylix (coppa). Se ne sente parlare parecchio nei paesi anglosassoni dove vedere il bicchiere mezzo vuoto è fuori discussione, specie se vi era stata spillata una buona bionda. 

Perdi tutto ma non la tua pinta!

Durante l’Oktoberfest, la fiera della birra più grande al mondo, è scenario di goliardiche bevute, timidi assaggi e enormi perdite. Tranquilli, non certo di boccali! Come in tutte le feste, il bello viene alla fine, al momento della conta degli oggetti smarriti. L’Ufficio preposto effettua ogni anno un report contenente gli oggetti che vengono smarriti edizione dopo edizione: nel 2015, insieme a capi di vestiario, carte d’identità e portafogli, pare che l’oggetto perduto di maggior valore  siano stati più 600 euro in contanti. E quello più strano? Meglio usare il plurale in questo caso. Tra sedie a rotelle e spazzoloni da wc, ci sono anche nani da giardino e trasportini per gatti. Insomma, l’unica cosa che ci si tiene stretta è il proprio boccale!

Birre più che unconventional

Stasera pizza e birra. Ma a quanti verrebbe in mente di berle entrambe? Sicuramente ai mastri birrai del Microbirrificio Sprecher Brewing Company, negli Stati Uniti. In collaborazione con Birra Pizza Company, hanno usato solo ingredienti della tradizione come pomodoro, aglio, basilico e origano, per creare una birra che possa non solo accompagnare una pizza ma persino sostituirla. Vero è che tra addentarla e berla… noi e il nostro orgoglio preferiremmo sempre la seconda! 

Facciamo Pilates

Era il 1920 quando il tedesco Joseph Pilates, emigrato in Gran Bretagna, iniziò a trattare i soldati sopravvissuti alla guerra. Gli esercizi riabilitativi a cui li sottoponeva coinvolgevano sia il corpo che la mente, con lo scopo di rafforzare i muscoli debilitati e ristabilire il benessere generale. Nelle sue sedute usava un macchinario conosciuto ancora oggi come Reformer, progettato per lavorare contemporaneamente su flessibilità muscolare, mobilità articolare e forza del core per migliorare la postura.

Oggi il Pilates è praticato con scopi sia preventivi che rieducativi, basandosi su principi quali respirazione, concentrazione, controllo, baricentro, precisione e fluidità.

Usando il Reformer oppure optando per il Matwork – esercizi da svolgere a corpo libero su un semplice tappetino –, il Pilates favorisce l’elasticità delle articolazioni, aiuta a correggere la postura, dona energia riducendo lo stress, e migliora il controllo del respiro. Non aumenta la massa muscolare ma porta a ottenere un fisico più tonico grazie ad esercizi volti ad allenare le fasce muscolari profonde. Chiaramente la chiave di tutto rimane la costanza: praticando Pilates 3-4 volte a settimana e abbinandolo a una dieta bilanciata, i risultati sul tuo corpo saranno visibili.

Provalo a casa

Munisciti di tappetino e prova a eseguire una sequenza di esercizi di pilates per mettere in comunicazione corpo e mente, e sentirti più mobile ed energico.

Inizia con una una serie di esercizi di riscaldamento per attivare muscoli e articolazioni.

Passa poi ad esercizi mirati che riprendano i principi fondamentali del Pilates. Gli esercizi possono variare per intensità e difficoltà a seconda del tuo livello di allenamento. L’esercizio più conosciuto sono gli Hundred, da svolgere in posizione supina  con le braccia distese lungo i fianchi e con i palmi delle mani rivolti verso il pavimento. Inizia flettendo le gambe verso il petto per poi stenderle in avanti con un’inclinazione di quarantacinque gradi rispetto al pavimento, con le punte dei piedi estese leggermente verso l’esterno. Per rafforzare i muscoli della colonna c’è lo Swimming, da eseguire in modo lento e controllato per trarne il massimo beneficio. Infine c’è il Teaser, un esercizio che richiede equilibrio e concentrazione coinvolgendo il core e tutti i muscoli delle gambe fino ai glutei.

Concludi la tua sessione di Pilates con dello stretching per allungare e rilassare i muscoli e le articolazioni.

Una bevanda, tanti aggettivi

Descrivere un vino può essere difficile senza gli aggettivi giusti: imparali con questo articolo!

Com’è?

Se non sai bene come descrivere il vino che stai sorseggiando, ecco degli aggettivi – uno per quasi ogni lettera dell’alfabeto – che possono tornarti utili durante una cena con amici enofili!

Amabile

Bevendo questo tipo di vini, si percepisce subito una sensazione di dolcezza, poiché il suo contenuto zuccherino naturale varia da 30 a 60 grammi per litro.

Barricato

Un vino affinato in botti o barrique, caratterizzato da un profumo fortemente speziato, con sentori di frutta secca e frutti di bosco, accompagnato da un gusto pieno ma leggermente amarognolo.

Corto

Si usa per descrivere un vino di cui, una volta deglutito, non ci restano tracce ma solo lievi sensazioni gustativo-olfattive.

Delicato

Se degustando un vino noti grandi aromi o sapori in forma quasi impercettibile, allora hai nel calice un vino delicato.

Equilibrato

Un vino in cui sensazioni acide, dolci e amare risultano ben bilanciate tra loro, sia al gusto che all’olfatto.

Fragrante

Vuoi dire che il vino che stai bevendo è fresco, fruttato e floreale sia al gusto che all’olfatto? Ecco l’aggettivo giusto!

Giovane

Se lo usi in riferimento a un vino in grado di invecchiare, vuol dire che provi un certo rimpianto per non avergli permesso di esprimere tutte le sue qualità tramite l’invecchiamento. Se il vino, invece, ha già una certa età e si rivela ancora fruttato ed energico, lo definisci sì giovane, ma con estrema ammirazione per le sue caratteristiche.

Invecchiato

Che sia bianco o rosso, il vino invecchiato è visibilmente più scuro e, in base al vitigno, ai tempi e al luogo di riposo, avrà un gusto più o meno complesso e corposo rispetto alla sua versione “giovane”.

Leggero

Un vino poco alcolico, poco colorato ma spesso dissetante e piacevole da bersi.

Maderizzato

Lo si usa per sottolineare un difetto olfattivo del vino che, quando ricorda il Marsala o il Madera – vini molto invecchiati – senza averne le qualità gustative, sarà caratterizzato da un sapore arido, quasi di erba secca.

Nuovo

Si dice di un vino giovanissimo, molto profumato, ma talvolta anche un po’ grezzo, visto che può andare incontro ad ulteriori trasformazioni enologiche prima di essere degustato

Pastoso

Si dice di un vino molto morbido e ricco di zuccheri, solitamente da dessert, come un passito o altri vini liquorosi.

Rotondo

Quasi sinonimo di morbido, lo si usa per descrivere un vino in cui i sapori dolci equilibrano o talvolta dominano quelli acidi e tannici.

Secco

Quando durante la fermentazione gli zuccheri dell’uva si sono trasformati completamente in alcol, è difficile avvertirli al gusto. Si usa perciò per parlare di vini con residui zuccherini inferiori ai 2 grammi per litro.

Vinoso

Un bevitore poco esperto lo userà per descrivere tutti i tipi di vino ma in realtà si riferisce solo ai rossi giovani. Vinoso, infatti, rappresenta un aroma che si sviluppa durante la fermentazione e che ricorda quello del mosto. Un sentore dunque che, con l’invecchiamento, potrebbe diventare poco riconoscibile al gusto.

A tutto vino!

Quando il Principe Carlo d’Inghilterra confessò al mondo di voler guidare un’auto che andasse a vino, tutti rimasero esterrefatti. Ma ancora di più quando lo videro a bordo della sua Aston Martin alimentata con le eccedenze di vino bianco inglese!

Il reale fu dunque un pioniere nella ricerca di carburanti alternativi, dimostrando che, con le dovute ricerche e accortezze, il vino (o meglio l’etanolo in esso contenuto) può tranquillamente alimentare un’auto.

Anche in Nuova Zelanda un certo Kevin Parker, che aveva sicuramente sentito delle originali scelte ecologiche di casa Windsor, aveva brevettato una speciale pompa di benzina che utilizza l’etanolo ricavato dai residui della produzione vitivinicola. Come dimostrato dall’Università di Adelaide, fermentando una tonnellata di ‘vinacce’ si può infatti arrivare a produrre circa 400 litri di bioetanolo, ottimo combustibile e perfetto per essere miscelato ad altri carburanti.

La compagnia petrolifera francese Total sembra però essere intenta a sviluppare un carburante 100% rinnovabile, a base di etanolo e di un particolare composto chimico – l’Etbe – ottenuto dagli scarti agricoli. Il nuovo biocarburante “Excellium Racing 100” dovrebbe essere lanciato il prossimo anno nel Campionato del Mondo Endurance Fia e all’European Le Mans Series: due corse molto lunghe e impegnative, per le quali servono carburanti performanti. Lo scopo della Total è infatti dimostrare come un biocarburante possa assicurare prestazioni elevate riducendo di almeno il 65% le emissioni di CO2 delle vetture da corsa.

Questa novità è un passo importante nella transizione energetica del mondo dei motori, così come in quella dei paesi maggiori produttori di vino. Che anche casa Ferrari, vista la tradizione vitivinicola italiana, scelga presto di alimentare le sue rombanti vetture con gli scarti della vinificazione?

Baci nella prateria

I piccoli roditori appartenenti, come gli scoiattoli, alla famiglia degli Sciuridi devono il loro nome al particolare suono che emettono, molto simile al latrato di un cane. Vivono in colonie in vaste aree erbose e pianeggianti, dove scavano dei sistemi di tane sotterranee che possono raggiungere anche i 30 metri di lunghezza. Ogni colonia è una realtà a sé, con la propria cultura e addirittura un proprio linguaggio! Tra gli strumenti di comunicazione dei cani della prateria – molti dei quali sono utili a evitare i predatori – c’è n’è uno fondamentale quanto originale: il bacio. I baci permettono infatti di stringere alleanze e tenere insieme una rete sociale nella quale tutti gli esemplari hanno un ruolo e nessuno domina sugli altri.

In circa 20 anni di osservazioni costanti – raccolte in uno studio pubblicato sulla rivista Behavior – si è scoperto che il bacio è un comportamento comune a tutte le colonie di cani della prateria, e che assume sempre lo stesso significato. Quando due individui si incontrano normalmente si baciano, in segno di saluto ma anche per stabilire una relazione pacifica e di collaborazione.

Per capire che tipo di relazione c’è tra i membri di una colonia, bisogna fare attenzione alla quantità di baci che si scambiano. In generale, più due cani della prateria si baciano, più stretto e saldo è il loro rapporto. Eppure ci sono colonie in cui alcuni membri ricevono più baci, altri vengono baciati solo dai loro simili più stretti e altri ancora possono addirittura fungere da ponte, andando a baciare membri di colonie confinanti per facilitare i rapporti e magari favorire la migrazione di uno o più individui.

Il bacio dei cani della prateria non è solo una prova della loro indole socievole, ma soprattutto uno strumento che permette loro di vivere e cooperare.

Un cemento più sostenibile

L’architettura sostenibile punta a ridurre l’inquinamento legato alla costruzione di edifici e al loro utilizzo futuro. A questo scopo è fondamentale trovare materiali che si possano produrre con un ridotto impatto ambientale e in grado di essere riciclati o riutilizzati.

Cemento sostenibile

L’idea di un cemento sostenibile arriva dall’Istituto Politecnico Nazionale messicano, dove è stato a messo a punto un materiale che sembra riuscire a ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera e dovrebbe andare a sostituire il cemento Portland (il più usato). 

Per la produzione di calcestruzzo, la maggior parte delle emissioni nocive è legata alla combustione di carbone e altri materiali, processo che avviene ad altissime temperature. Il cemento sostenibile punta invece a una combustione a temperature molto più basse (750°C contro circa 1450°C) e a una conseguente riduzione delle emissioni.

Creare un cemento sostenibile è però un processo abbastanza articolato. Per prima cosa servirà utilizzare delle energie pulite per alimentare i forni in cui viene preparato il cemento, sfruttando i combustibili non fossili e persino i rifiuti urbani non più riciclabili, permettendone lo smaltimento. In questi anni, inoltre, si stanno sviluppando dei sistemi per la cattura dell’anidride carbonica prodotta dagli impianti che producono cemento: si tratta di macchine in grado di risucchiare dall’atmosfera la CO2, che potrà poi essere utilizzata per la produzione di carburante o prodotti chimici industriali.

Oltre ai diversi esempi già impiegati nei paesi dell’Europa settentrionale, un cemento più sostenibile del tradizionale è stato usato anche in Italia, a Bergamo. Il suo processo produttivo non si può definire a basso impatto, ma alcuni agenti fotocatalitici gli permettono di reagire con i raggi UV e ridurre gli inquinanti atmosferici, fornendo un’aria più respirabile intorno agli edifici nei quali è stato impiegato.

Rendere il cemento sostenibile è quindi possibile, ma solo grazie a importanti investimenti. Ecco perché diverse imprese del settore domandano incentivi specifici per poter impiegare materie prime riciclate e produrre un calcestruzzo a ridotto impatto ambientale.

Eliminare il glutine

Una considerazione di fondo

L’attenzione a sane regole alimentari, alle proprietà nutritive degli alimenti e alle loro caratteristiche salutari è sicuramente un dato positivo, a patto che non diventi un’ossessione tale da spingere a comportamenti irrazionali. Il glutine, come tanti altri alimenti, si trova oggi al centro dell’attenzione generale e sono sempre di più le persone che lo eliminano dalla dieta, perché convinte di fare una scelta salutare. In realtà, i soli a trarre beneficio dalla dieta senza glutine sono gli individui che non lo tollerano, soffrono di celiachia, oppure mostrano una particolare sensibilità nei confronti di questa sostanza. Detto questo, sposare la scelta del gluten free non sembra comportare rischi per chi non ha problemi di intolleranza, ma rende sicuramente più difficile l’organizzazione della dieta. Vediamo perché…


Glutine, cos’è?

Il glutine è una sostanza grumosa ed elastica che si forma portando a contatto con l’acqua le farine di alcuni cereali, primo tra tutti il grano. Chimicamente si compone dall’unione di due proteine: la gliadina e la glutenina, ed è grazie alla presenza del glutine che le farine di grano possono dare impasti elastici e resistenti, da lievitare per ottenere pane e prodotti da forno o da essiccare per ottenere la pasta. Oltre che nel grano, il glutine si trova anche in molto altri cereali: nel farro, nell’orzo, nel kamut, nel triticale, nella segale e nell’avena, mentre è assente in molte fonti di amido alternative, come il mais, il riso, il miglio, il sorgo, il grano saraceno, la quinoa, l’amaranto, la tapioca, le castagne e le patate. Come legante, il glutine viene poi utilizzato dalle industrie alimentari per produrre diversi alimenti e lo si può trovare in sughi, zuppe pronte, creme spalmabili e vari altri prodotti. Di per sé, ed è importante chiarirlo, il glutine non è una sostanza nociva, anzi, è una componente proteica che può essere utile anche sul piano nutrizionale, oltre che su quello della produzione alimentare. Purtroppo però, è in crescita continua il numero delle persone che non lo tollerano, a cominciare da chi è affetto da celiachia.

La celiachia

La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine. In chi ne soffre, l’introduzione di quantità anche piccolissime di questa sostanza può provocare una forte infiammazione nell’intestino tenue, con appiattimento e atrofia dei villi che ricoprono la parete intestinale e che costituiscono la via più importante attraverso la quale l’organismo assimila le sostanze nutritive del cibo. Per questo il celiaco che assume glutine può andare incontro a problemi di malassorbimento, che possono poi causare anche manifestazioni extraintestinali. Attualmente per la celiachia non c’è cura e l’unico rimedio è la dieta: vanno totalmente evitati tutti i cibi che contengono anche la più piccola quantità di glutine. 

Gluten sensitivity: una condizione diversa

Oltre alla celiachia, si sta diffondendo anche un altro disturbo legato al glutine, denominato gluten sensitivity, cioè sensibilità al glutine. A differenza dell’allergia al grano e della celiachia, questa nuova condizione non è ancora facilmente diagnosticabile e le cose sono rese ancora più difficili dalla varietà dei sintomi che può presentare: gastrointestinali (meteorismo, dolori addominali, diarrea o stipsi) ma anche di altro genere (sonnolenza, difficoltà di concentrazione, annebbiamento mentale, cefalea, dolori muscolari, rash cutanei tipo eczema, depressione, anemia, stanchezza cronica…). Se si sospetta di essere sensibili al glutine pur non essendo celiaci, la cosa migliore è provare a sospendere la sua assunzione per un periodo e osservare gli effetti: in genere eliminando il glutine dalla dieta si ha un significativo miglioramento clinico già nel giro di pochi giorni.

Gluten free per tutti?

Come detto, per chi soffre di celiachia la dieta senza glutine è l’unica possibilità di cura, e la scelta del gluten free è obbligata anche per chi accusa sensibilità al glutine. Chi non soffre di questi problemi non ha motivo per eliminare il glutine dalla propria alimentazione, ma può essere una scelta condivisibile se migliora la qualità della vita. Succede, per esempio, quando in una coppia uno dei due sia celiaco: la scelta per entrambi del senza glutine semplifica enormemente la gestione della cucina di casa, perché non c’è bisogno di tenere rigorosamente separati gli alimenti dell’uno e dell’altra, e soprattutto non è necessario applicare tutte le cautele per evitare possibili contaminazioni quando si cucina. Ancora, la scelta di rinunciare al glutine può essere comprensibile se in una famiglia di poche persone è un bimbo a soffrire di celiachia: cucinare le stesse cose per tutti ha in questo caso anche il senso di fare pesare meno la differenza di condizione sul piano psicologico. Sbaglia invece chi, non avendo alcuna necessità pratica, decide per il senza glutine credendo di migliorare automaticamente la propria salute o addirittura di favorire il dimagrimento, cosa assolutamente non vera.

Alcuni dubbi da approfondire

Rinunciare al glutine senza motivo significa in effetti privarsi di una fonte proteica vegetale che può aiutare a mantenere in equilibrio l’apporto complessivo di proteine. Inoltre, pane e pasta preparati nel modo tradizionale sono alimenti che, oltre a soddisfare il gusto, vantano una composizione in genere meno complessa e più naturale dei corrispondenti gluten free, nei quali per far fronte all’assenza di glutine si ricorre all’aggiunta di ingredienti particolari. Hanno suscitato poi un certo interesse, recenti ricerche che hanno evidenziato come, in un soggetto sano, una dieta senza glutine renda più problematico mantenere in buona salute la naturale flora intestinale ed efficiente il sistema immunitario. Si tratta di ricerche ancora agli inizi e poco significative per l’esiguità dei numeri coinvolti, ma sono sufficienti a giustificare una domanda: perché modificare la propria dieta escludendo il glutine se non si hanno problemi? Tanto più che facendolo, sul piano della salute non si ha alcun guadagno… 

Pane Azzimo, il più antico

Il pane azzimo è stato il primo, e per molto tempo l’unico, tipo di pane prodotto e consumato dall’uomo. Bastava mescolare farina integrale con acqua e l’impasto veniva cotto su pietre arroventate o cenere calda.

L’anno scorso, nel Deserto Nero della Giordania, è stata ritrovata da un gruppo di archeologi di Copenaghen una focaccia di pane azzimo bruciacchiata di 14.400 anni fa. Ben prima quindi della nascita dell’agricoltura, collocata 4000 anni dopo la creazione di quel panino.

Una tecnica diffusa

Si tratta di un pane senza lieviti, non fermentato. Questo lo rende ideale per essere consumato durante la Pesach, la Pasqua ebraica, che dura otto giorni e vieta gli alimenti fermentati. È stato durante questo periodo dell’anno che Gesù Cristo avrebbe istituito il sacramento dell’eucarestia ed è per questo che oggi durante la messa cattolica si mangia un disco di pane azzimo: l’ostia.

Un altro disco di pane “piatto” molto famigliare, soprattutto in Romagna? La piadina!

Caratteristiche nutrizionali

Più di altri tipi, il pane azzimo è ricco di carboidrati e risulta quindi un alimento altamente energetico: il nostro organismo trasforma infatti i carboidrati in glucosio, carburante per cervello e muscoli.

La totale assenza di colesterolo lo rende un alimento adatto anche a chi soffre di problemi cardiovascolari. Se preparato con farine integrali, grazie al maggior quantitativo di fibre, può risultare utile soprattutto a chi ha problemi di stitichezza.

Infine, è facile e veloce da preparare!

Ad oggi non sono note controindicazioni al consumo di pane azzimo; chi soffre di diabete deve però prestare attenzione all’indice glicemico, e i celiaci al contenuto di glutine.

Ciliegi nani e ferrovie

Dolci, succose e invitanti, le ciliegie accompagnano le calde giornate di inizio estate. Si dice che “Una tira l’altra” perché è davvero difficile resistere a questi piccoli frutti così prelibati, eppure abbiamo rischiato di perderle!

Un gigante molto buono

Il ciliegio è un albero che, crescendo, può superare i 10 metri d’altezza. I suoi frutti si possono raccogliere solo a mano, perché è necessario preservare il peduncolo per conservarle correttamente. Salire su una scala per 10 metri è pericoloso e data la crescente sensibilità per la sicurezza sul lavoro, intorno agli anni ’80, i costi di raccolta erano diventati il 50% dell’intero costo di produzione. Un costo che né i consumatori né gli agricoltori erano molto propensi a pagare.

Un caso molto fortuito

La soluzione venne dalla Puglia, in provincia di Bari, dove si coltivavano ciliegi nani della cosiddetta varietà “ferrovia”. Il frutto era dolce e croccante e il nome derivava dal fatto che il primo albero di questo tipo cresceva vicino alle rotaie. Studi successivi hanno accertato che si trattasse di una varietà di ciliegie già presente nell’Europa centrale: è probabile quindi che sia cresciuto da un nocciolo sputato dal treno da un viaggiatore tedesco, forse un soldato.

Innestando il ciliegio “ferrovia” su un portinnesto di Santa Lucia, varietà più adatta ai terreni secchi e calcarei, si ottenne una pianta bassa, di circa 3-4 metri. Negli anni furono via via selezionati sempre più portinnesti, ottenendo varietà di ciliegie più dolci o più aspre, morbide o dure, che si possono raccogliere anche senza scala. Questo riportò i costi di raccolta al 30% e ci permette oggi di gustare delle ottimi frutti per tutti i gusti, senza mettere a repentaglio la sicurezza dei raccoglitori.

Quali sono le tue ciliegie preferite?

Farina e semola: le differenze di base

Possiamo trovarla in tutte le salse: svariati colori, diversi metodi di lavorazione, tenere e dure, forti e deboli. La farina è uno dei prodotti più antichi della storia ed è sicuramente il prodotto più utilizzato nelle nostre tavole, poiché è la base di piatti insostituibili: pane e pizza, tanto per dirne un paio.

Oggi andremo ad analizzare alcune caratteristiche, soffermandoci sulle differenze, sia quelle che vediamo direttamente sulle confezioni, che quelle più nascoste.

Grano tenero e grano duro

Partiamo dal principio: che cos’è la farina? Il prodotto che si ottiene dalla macinazione del grano.

A gareggiare sul mercato sono in particolare le farine di grano tenero e di grano duro.

La prima deriva dal Triticum vulgare, varietà generalmente coltivata in zone che si caratterizzano per avere un terreno fertile e un clima mite. La seconda dal Triticum turgidum durum, coltivato in zone argillose e dove c’è poca umidità: non a caso, in Italia vienetipicamente prodotto nel Meridione e nelle Isole.

Il grano tenero ha spighe corte con chicchi piuttosto tondeggianti e morbidi, opachi e friabili, che si spezzano facilmente. Possiede un alto contenuto di fibree per tale ragione facilita lo svolgimento delle funzioni intestinali.

Il grano duro si presenta invece a chicchi allungati e spigolosi di consistenza molto dura, difficili da rompere. La sua macinazione porta infattiallo sfarinato conosciuto comesemola,caratterizzato da granuli più grossi e ricco di carotenoidi, composti ad azione antiossidante. Contienepiù proteinerispetto a quello teneroeha unelevato potere saziante.

Sulle confezioni delle farine avrete notato un valore indicato con la lettera “W”: è la capacità della farina stessa di assorbire i liquidi durante l’impasto e trattenere l’anidride carbonica durante la lievitazione. Il suo valore dipende dal contenuto di proteine, in particolar modo da quello delle gliadina e glutenina che, insieme, compongono il glutine. La forza di una farina si misura attraverso apposite prove meccaniche sull’impasto, prova di estensibilità e di resistenza.

L’indice di forza non dipende tuttavia direttamente dal grano, ma dal tipo di farina o di semola che vengono prodotte.

Farine da grano tenero e semole da grano duro

Tecnicamente l’ingrediente che corrisponde al nome di farina è ottenuto esclusivamente dalla macinazione di grano tenero. Siamo però abituati a chiamare farina anche il prodotto derivante dal grano duro, ma lo vedremo tra un attimo.

Le farine più comuni si dividono in 5 tipi: 00012 e integrale.

00: è comunemente conosciuta come la più raffinata. Ciò non vuol dire che segue le norme del galateo, bensì che si ottiene dalla molitura della parte più interna del grano (endosperma). Vengono perciò eliminati la crusca e il germe del grano, i due elementi più ricchi di nutrienti. La farina 00 è infatti priva di fibre, vitamine e sali minerali, inoltre contiene un bassissimo tasso proteico. Tutto ciò di cui si compone è l’amido (carboidrati semplici). È infatti il tipo di farina col più basso valore nutritivo. Ha un’indice di forza medio-alto, quindi è spesso sfruttata per la preparazione di prodotti a lunga lievitazione.

0: è pressoché identica alla precedente, ma contiene una piccola percentuale di crusca. Anche questo tipo ha un buon indice di forza.

1: possiede un’alta quantità di crusca e germe del grano. Per questo motivo, è ricca di sostanze nutritive utili all’organismo. Le farine 1,2 e integrale rientrano nella categoria intermedia per quanto riguarda l’indice di forza (W). Il valore è compreso tra 180 e 260. Le farine di forza media si utilizzano per preparare pane francese, pastelle, panini all’olio o alcuni tipi di pizza, prodotti in generale caratterizzati da una buona quantità di nutrimento e mediamente lievitati.

2: si può definire una farina semi-integrale, contiene buone quantità di crusca e germe. A differenza di quella integrale si lavora meglio in cucina e lievita di più.

Integrale: è il risultato della macinazione dell’intero chicco del cereale (endosperma, crusca e germe). È la tipologia più ricca in nutrienti (minerali, vitamine, proteine e fibre) ma la più difficile da utilizzare in cucina essendo molto granulosa.

È possibile distinguere tre tipi di semola: una “normale”, una integrale e quella “rimacinata”.

La semola integrale non comprende l’abburattamento, ovvero il processo di setacciamento del grano, perciò presenta granelli di grandi dimensioni rispetto agli altri. La semola di grano duro “normale” subisce invece una fase di setacciatura, perciò si può identificare come la via di mezzo tra l’integrale e la rimacinata, che presenta invece una consistenza simile alla farina di grano tenero, appunto perché viene setacciata più volte.

La semola si presenta, a seconda della tipologia, di colore tendente al giallo. L’indice di W varia da 90 a 220, genera impasti poco elastici e molto resistenti, rivelandosi ideale per la preparazione di paste fresche e secche.

Ci siamo limitati a descrivere, senza entrare nel dettaglio del rapporto con la nostra salute. Esistono infatti altri tipi di farina, come quelle di kamut, soia, riso, avena, ma anche quella biologica, che inseriremo in un discorso più ampio. Nel frattempo, godetevi la magia di questo ingrediente, capace di dar vita a piatti di cui non possiamo fare a meno!