Il vino fatto con l’uva affinata in mare

Nell’antica Grecia, sull’isola di Chio, gli agricoltori lasciavano riposare i grappoli di uva in acqua di mare prima di procedere alla pigiatura: un trattamento che rimuove dagli acini la pruina, la sostanza cerosa che li riveste. 

2500 anni dopo, la cantina elbana Arrighi ha replicato il procedimento, con l’ausilio dell’Università di Pisa e del professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano.
Il vitigno utilizzato si chiama Ansonica, da tempo coltivato all’Elba ma originario proprio di Chio. 

L’uva riposa immersa a sette metri vicino alla costa di Porto Azzurro per cinque giorni, all’interno di campane di vimini, delle nasse artigianali realizzate dai pescatori di Castelsardo, in Sardegna. 
La rimozione della pruina accelera il processo di disidratazione dell’uva, portandola a perfetta maturazione. Segue l’appassimento al sole e la macerazione in anfore di terracotta
Il sale incamerato negli acini funge da antiossidante naturale, e permette di non utilizzare solfiti

Il vino si chiama Nesos, ed è stato presentato al Vinitaly del 2018. “Considerando le richieste e la curiosità che ha suscitato questa ricerca, e vista l’esperienza della prova, ci stiamo attrezzando per migliorare e aumentare la produzione” ha dichiarato il proprietario della cantina, Antonio Arrighi. Egli sostiene che questo esperimento è inoltre “un esempio di archeologia sperimentale, che ci consente di ritornare alle origini, di capire perché questo vino è più famoso degli altri, e di dare così risposte a molti interrogativi rimasti inevasi”. 

Svegliarsi prima della sveglia

Dormire ininterrottamente sarebbe affascinante, per carità, ma siamo realisti: avremmo potuto vivere senza la sveglia? Sicuramente sì, al massimo saremmo stati più sereni, meno efficienti, con un “fisso lavoro precario” e senza una concezione precisa del giorno e della notte.

Scherzi a parte, andiamo a vedere come ci si comportava prima di questa epocale invenzione, chi l’ha presentata al mondo, e come si è evoluto il prezioso strumento.

Prima dell’invenzione 

Il primo famoso testimone di un sistema simile alla nostra sveglia è il filosofo greco Platone. Utilizzò la clessidra, l’oggetto che si usava all’epoca per misurare il tempo, per costruirne una personale. Al posto dei granelli di sabbia la riempì d’acqua e aggiunse due sifoni con aperture strettissime, in modo tale che quando il liquido aveva riempito il recipiente, fuoriusciva dai sifoni un suono simile a un fischio. Lo stesso sistema veniva usato da diversi popoli del suo tempo, ma al posto dei sifoni veniva aggiunto un meccanismo all’interno della clessidra che emetteva un forte suono una volta che l’acqua aveva raggiunto il livello (e quindi l’orario) desiderato.

Più avanti arrivò il cristianesimo, e con esso le cattedrali e le chiese con le campane. Nelle città cristiane perciò la sveglia veniva data dagli addetti alle campane.

Nel 1787 ci fu il primo prototipo di sveglia, ma il suo inventore non fu abbastanza lungimirante e cosciente della scoperta. Levi Hutchins infatti la utilizzava per svegliarsi alle 4 del mattino, quando il sole non era ancora sorto, poiché doveva recarsi molto presto alla sua orologeria. L’oggetto rimase appannaggio esclusivo di Hutchins, probabilmente perché era stata progettata per suonare sempre e solo alle 4 del mattino, perciò di sicuro non si fecero le corse per averne una.

Il primo brevetto ufficiale risale infatti a un secolo più tardi, al 1876.

In quel periodo iniziarono a svilupparsi le fabbriche, e anche gli imponenti stabilimenti avevano un sistema per svegliare gli operai che, soprattutto nei primi periodi, abitavano tutti nei pressi del posto di lavoro. La sveglia si chiamava factory whistle: un marchingegno a vapore posto sul tetto dell’edificio, che a un certo orario sprigionava un rumore sordo.

La tecnica più curiosa è però l’ultima in ordine cronologico, prima che la sveglia entrasse nelle case di tutti, o quasi. All’inizio del Novecento era infatti attiva la figura del Knocker up (letteralmente “bussatore”): aveva il compito di andare porta a porta con un bastone e bussare alle porte dei dormiglioni, anzi spesso batteva direttamente sulle finestre delle camere da letto.

Dopo l’invenzione

Il brevetto del 1876 appartiene alla Seth Thomas Clock Company, un’azienda orologiera molto famosa in America. Queste sarebbero le parole di Seth Thomas Junior, nella richiesta per il brevetto: “Ho realizzato un orologio di piccole dimensioni piuttosto conveniente, con una cassa principalmente di metallo e con una parte posteriore in legno, particolarmente adatto per essere prodotto facilmente, con poca spesa e poco lavoro, pensato sia per essere messo su uno scaffale che su un tavolo o a una parete. Si tratta di qualcosa che non ha bisogno di novità, ma ho utilizzato dei sistemi particolari per la carica, l’incastonatura e la regolazione e per fermare l’orologio quando desiderato”.

Il primo step dell’evoluzione del “fastidioso” oggetto risale al 1940, quando James Reynolds propose la prima radio-sveglia, che permetteva alle persone di svegliarsi con una melodia piacevole.

Il secondo e ultimo passo dell’evoluzione è invece arrivato insieme al telefono cellulare: pochissimi affezionati utilizzano ancora la sveglia da comodino, la maggior parte di noi la imposta direttamente sul proprio smartphone.

Ormai quasi tutti i telefoni sono dotati di particolari applicazioni che ci permettono di monitorare le nostre ore di sonno. Altre non smettono di riprodurre un suono assordante finché non facciamo qualche passo con il cellulare in mano. E poi ce ne sono tante, tante altre: possiamo svegliarci nel modo che ci risulta più adatto, l’obbiettivo è sempre lo stesso.

Vale la pena però di menzionare un’app nata nel 2011, che non ha ancora avuto successo su scala mondiale, ma che rende sicuramente il risveglio un atto più divertente del solito.

Mi svegli tu?

Si chiama Wakie e ad inventarla è stato Arachick Adjamian, un giovane sviluppatore di app armeno.

Nel 2011 insieme ad altri suoi colleghi mise in rete un sito che permetteva di prenotare una sveglia, tramite un sistema simile alle sveglie telefoniche negli alberghi.Il discreto successo del sito spinse i giovani a trasferire Wakie sugli smartphone, riuscendo, dopo diversi passaggi burocratici, ad avere l’ok di tutti i sistemi operativi.

Ma come funziona?

Si installa l’app, ci si iscrive tramite l’indirizzo Facebook o numero di telefono e inizia l’avventura: da questo momento in poi si può svegliare o essere svegliati da chiunque utilizzi l’app da qualsiasi parte del mondo. Ci si sveglia tramite una telefonata che può durare al massimo 50 secondi, durante i quali gli utenti possono conoscersi e scambiarsi qualche battuta, per un risveglio più piacevole. Dopo aver dato la disponibilità a svegliare qualcuno, il sistema invia automaticamente una notifica contenente il profilo della persona che vuole essere svegliata; se si accetta, parte in automatico la telefonata.Nel caso in cui nei 50 secondi ci sia un’interesse comune, l’applicazione dà la possibilità di ricontattarsi poiché possiede un forum, tramite il quale si possono rintracciare gli utenti che hanno interagito.Se invece non c’è nessuno disponibile a chiamare, l’applicazione fa partire automaticamente la telefonata con un messaggio registrato. Il problema risulta quando chi dorme non risponde: non è ancora stata trovata un’alternativa efficace.

Gli sviluppatori credono molto nella loro invenzione: affermano che il cervello, dovendo rispondere a delle domande, nonostante i pochi secondi a disposizione, fa un grande sforzo cognitivo, perciò in sostanza a fine telefonata si è sicuramente attivi e pronti ad alzarsi dal letto.

L’app, gratuita su tutti i dispositivi, nel 2014 contava già un milione e mezzo di iscritti in tutto il mondo. Oggi gli amministratori sono a lavoro per rendere l’esperienza sempre più divertente e pratica.

La cucina ayurvedica

Il suo nome la lega profondamente all’ayurveda, l’antica medicina nonché filosofia nata in India oltre 6000 anni fa. Il termine è l’unione delle parole ayus, cioè vita, e vedaconoscenza, alludendo a una pratica che mira a indagare e conoscere la vita e i suoi meccanismi.

Per comprendere al meglio questa particolare cucina, sarà bene guardare a come l’ayurveda descrive l’essere umano. Secondo questa filosofia ogni individuo è costituito da cinque elementiterraacquafuocoaria ed etere. Combinandosi tra loro in “proporzioni” diverse, questi elementi danno origine ai tre tipi di costituzioni o energie primarie, responsabili della salute e del benessere. Questi vengono chiamati dosha e si dividono in VataPitta e Kapha. Il primo riflette le qualità dell’aria e dell’etere; il secondo di fuoco e acqua, e il terzo di acqua e terra.

Oltre alle tre costituzioni, la cucina ayurvedica identifica sei sapori chiamati rasa. Fra dosha e rasa c’è una profonda correlazione, visto che ogni sapore è costituito dai cinque elementi e, come i dosha, sono sempre due di questi a prevalere. Ciascun sapore ha inoltre una funzione specifica:

• dolce (terra e acqua): ha un effetto calmante e rientrano in questa categoria cereali (grano, riso), latticini, frutta, olio e alcuni tipologie di carne.

• acido (terra e fuoco): tipico degli agrumi e dello yogurt, favorisce invece la digestione.

• salato (acqua e fuoco): consumato in piccole dosi, stimola le ghiandole surrenali e rinforza l’ossatura

• piccante (fuoco e aria): estrapolato da particolari spezie e verdure come aglio e cipolla, stimola il metabolismo

• amaro (aria ed etere) comprende ortaggi ed erbe aromatiche e ha funzione purificante.

• astringente (terra e aria): un sapore che si trova in pochi alimenti, come legumi, tè e alcuni frutti.

Quella ayurvedica è una cucina che si basa sul principio del “siamo ciò che mangiamo”. Ogni alimento o combinazione di ingredienti avrà un influsso particolare non solo sul nostro corpo, ma anche sulla nostra mente. Gli elementi contenuti in ciascun ingrediente dovranno perciò combinarsi agli altri in maniera armoniosa e in base al proprio dosha.

Piatti ayurvedici

Questa cucina è per lo più vegetariana, ricca di spezie ed erbe aromatiche. L’uso di carne non è vietato ma viene suggerito di prediligere altri tipi di fonti proteiche. Nella cucina ayurvedica gli ingredienti più usati sono riso, legumi, latticini verdure e, naturalmente, le spezie. Il cibo deve essere cotto e consumato caldo, mai freddo. L’acqua, invece, deve essere bevuta a temperatura ambiente per non alterare l’equilibrio dell’organismo.

Ma quali preparazioni rispecchiano al meglio l’essenza della cucina ayurvedica? Qui ve ne proponiamo alcune perfette per i diversi dosha e ideali in qualunque stagione.

Tisana rinvigorente alle mandorle

Le mandorle sono molto apprezzate per le loro qualità energizzanti e vengono utilizzate sbucciate per renderle più digeribili. Anche se più utile nei mesi freddi dove si è sottoposti a un maggiore sforzo fisico e mentale, questa tisana può essere bevuta tutto l’anno per alleviare i dosha Vata e Pitta.

Dhal

Una crema di lenticchie rosse molto nutriente che, con l’aggiunta di spezie non eccessivamente piccanti, armonizza tutti e tre i dosha.

Curry di cavolo

Spezie come curcumacumino e assafetida (dall’odore molto intenso ma tanto usata nella cucina ayurvedica) fanno di questo curry un piatto pacificante per Kapha. Per questo dosha si raccomanda di ridurre sempre le quantità di sale, poiché potrebbero arrecare effetti indesiderati.

Khir

La dolcezza dello zucchero unita a quella naturalmente contenuta nel latte e nel riso, rende il khir un piatto pacificante per Vata. Gli altri due dosha potranno consumarlo purché in piccole quantità.

Chutney di menta

I cibi dolci, amari e rinfrescanti sono l’ideale per Pitta. Ecco che un chutney (una salsa agrodolce di accompagnamento) speziato a base di menta, cocco grattugiato e zucchero potrà essere consumato insieme a dei samosa saporiti ma non troppo piccanti.   

4 alternative al caffè

Caffè: patiti o dipendenti? Se rientri nel secondo gruppo e cerchi un’alternativa alla bevanda energizzante per eccellenza, continua a leggere questo articolo. Ti sveleremo i nomi delle 4 bevande alternative al caffè da consumare ogni qualvolta abbia bisogno di energia senza però eccedere con la caffeina. 

Ginseng

Non parliamo dell’aroma usato in tante bevande a base di caffè tradizionale. Il ginseng è la radice di una pianta erbacea perenne (Panax ginseng) da cui si ricava una sostanza utilizzata da sempre nella medicina tradizionale cinese per le sue proprietà toniche ed energizzanti. Utile per contrastare stress e affaticamento, migliora la risposta del sistema nervoso centrale e l’attenzione. La radice secca di ginseng si trova facilmente in erboristeria ed è usata per realizzare degli infusi capaci di ricaricarti!

Chai

Conosciuto come masala chai, è un tè nero speziato diffusissimo in India, arricchito con latte e zucchero o miele. Il suo gusto è molto dolce e può essere preparato utilizzando spezie diverse a seconda della regione indiana in cui ci si trova. Le più usate sono cardamomo, cannella, chiodi di garofano, zenzero, anice stellato e pepe. Una volta pestate, vengono fatte tostare in un pentolino a cui si aggiunge l’acqua. Si fa sobbollire il tutto per circa 10 minuti, dopodiché si aggiunge il tè nero e si lascia in infusione. Infine quindi si aggiungono latte e il dolcificante scelto, si filtra e si gusta bollente. Le sue caratteristiche? È una bevanda particolarmente energizzante, con proprietà antinfiammatorie, antidolorifiche e riequilibranti.

Tè matcha

Diverso da tutti gli altri tè, il matcha è una polvere pregiatissima ottenuta da foglie selezionate e raccolte a mano solo in determinate piantagioni giapponesi. Reso polvere da macine a  pietra, è grazie a questa lavorazione che il matcha contiene circa il 30% di sostanze nutritive in più rispetto agli altri tè verdi. Ricco di vitamine del gruppo B, C, minerali e dell’amminoacido L-Teanina, che stimola il sistema nervoso centrale, favorendo uno stato di buonumore, concentrazione ed energia. Tanti lo confondo con il mate che, nonostante le sue proprietà energizzanti, non è un tè, bensì un’erba tipica del sudamerica! 

Caffè di cicoria

Un ingrediente insolito ma molto usato nel caso si cerchi una bevanda energizzante ma priva di caffeina. Questo originale “caffè” si ricava dalla radice della cicoria, che viene raccolta in autunno, essiccata, tostata e infine polverizzata. L’infuso può essere realizzato con la polvere, le foglie essiccate oppure tramite dei preparati solubili. Si tratta di una bevanda ricca di polifenolivitamine e sali minerali, dalle ottime proprietà digestive, depurative e antiossidanti.

Qual è la prima alternativa al caffè che vorresti assaggiare?

Briciole di dolcezza

Dolci a base di briciole ne conosciamo molti, a cominciare dalla popolare sbrisolona mantovana e arrivando alla torta fregolotta tipica di Treviso. Ma in quali altre occasioni possono tornarci utili?

La tradizione tedesca

In Germania lo streusel (pronunciato strois’l) è un topping molto usato per decorare torte e muffin. Si tratta di un composto granuloso formato da parti uguali di burro, farina e zucchero, che viene sbriciolato sulla superficie del dolce. Tramite la cottura, questo topping renderà il dessert croccante all’esterno, mantenendolo umido e soffice all’interno. L’esempio più lampante è quello della torta streusel, un dolce probabilmente nato in Slesia ma che si è presto diffuso in tutto il paese. Nel XVII i tedeschi emigrati nel Nuovo Mondo portarono con sé anche lo streusel, dando vita alla shoofly pie, uno dei dolci tipici della pasticceria della Pennsylvania.

Una variante a stelle e strisce

Ma una volta lontana dalla terra natia, anche la ricetta dello streusel era destinata a cambiare. Nella versione americana, gli ingredienti usati possono essere presenti in quantità differenti, per dare al topping una consistenza più sabbiosa oppure più croccante. In questo secondo caso lo streusel sarà molto più friabile e perfetto per realizzare dolci a base di frutta come il crumble di mele.

Per lo streusel originale serve dunque usare pari quantità di burro, farina e zucchero, ma occorre anche ricordarsi di qualche piccolo trucco per prepararlo al meglio. 

Utilizza il burro freddo, tagliandolo precedentemente a cubetti, poiché quello a temperatura ambiente o fuso farà perdere al topping la sua tipica consistenza granulosa. Non usare lievito o bicarbonato ma cerca di creare delle briciole abbastanza grandi, che in cottura si induriranno dando croccantezza al dolce. Sperimenta aggiungendo spezie (cannella, noce moscata, curcuma), frutta secca, semi oppure un pizzico di sale, per esaltare il gusto del topping. Infine amalgama rapidamente gli ingredienti dello streusel con le mani, per far sì che il burro non si ammorbidisca troppo e comprometta la consistenza del tuo dolce!

Come si usa il cardamomo?

Dopo aver parlato dei benefici di spezie come cannella e curcuma, oggi tocca al cardamomo, derivante – come lo zenzero – da una pianta appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae. I suoi semi sono un ottimo alleato in cucina e della salute di stomaco, intestino e vie respiratorie. Gli Indiani li utilizzavano già nel III millennio a.C. per il loro gusto fresco e pungente, apprezzato tuttora in Svezia e Danimarca dove si realizzano brioches (kardemummabullar) e biscotti (pebernodder) a base di cardamomo.

È una delle spezie più usate nella cucina ayurvedica per via delle sue proprietà antinfiammatorie e decongestionanti. Le vitamine contenute nel cardamomo sono diverse (A, C e del gruppo B), insieme a numerosi sali minerali come manganese, calcio, potassio, zinco, fosforo e ferro. Dalla spezia è possibile ricavare anche un olio essenziale da usare per bagni caldi contro stanchezza e stress, o per suffumigi utili a liberare le vie respiratorie. I semi, invece, possono essere lasciati in infusione in acqua bollente per un decotto che allevi i fastidi allo stomaco e aiuti la corretta digestione.

Il suo odore forte e il gusto leggermente piccante lo rendono adatto a ravvivare piatti unici composti da riso, carne e yogurt, come quelli della tradizione beduina e del nord dell’India (biryani). Inoltre, i semi di cardamomo possono essere aggiunti interi o tritati ad altre spezie per realizzare miscele come baharat, curry o masala.

Vuoi proporre ai tuoi ospiti un piatto dal sapore orientale? Prepara uno spezzatino di pollo e insaporiscilo con semi di cardamomo e una stecca di cannella. Oppure servi loro un originale dolce al cucchiaio come una panna cotta speziata, o una più tradizionale torta a base di carote, arance e cardamomo.

Prova e vedrai!

Tutti i colori del pane

In base alla ricetta e agli ingredienti usati, la tua pagnotta può avere colori più o meno fantasiosi. Il pane a cui siamo abituati, preparato usando farine di grano tenero raffinate come 0 o 00, è il cosiddetto pane bianco, caratterizzato da una mollica chiara, porosa e morbida. Quando invece parliamo di pane nero, ci riferiamo a quello impastato con farine più scure e contenenti un’alta percentuale di crusca e fibre, come quella di segale, ingrediente principale del caratteristico pane norvegese.

Di quanti colori può essere il pane? Ecco qui una lista di ingredienti naturali da utilizzare per arricchire e colorare il tuo impasto

Rosso

Con l’aggiunta di concentrato di pomodoro oppure della purea di barbabietole, il tuo impasto avrà un colore e un sapore decisamente originali! Realizza dei panini tondi da farcire e servire ai tuoi ospiti come aperitivo.

Viola

Ricordi le carote viola che avevi preso per colorare la tua zuppa invernale? Lessale e, una volta cotte, conserva l’acqua per realizzare l’impasto del tuo pane. Avrà un colore unico nel suo genere, perfetto per stupire chiunque lo assaggi!

Verde

Se vuoi dare al pane il colore della speranza, questi ingredienti fanno al caso tuo: spinaci, cavolo nero, pesto o alga spirulina in polvere. Scegline uno oppure combine due per realizzare un impasto verde e gustoso.

Giallo

Curcuma o zafferano? Entrambi vantano ottime proprietà per il tuo organismo ma in questo caso li sceglierai per il loro colore. Una volta aggiunti all’impasto, infatti, renderanno il tuo pane di un bel giallo vivo, donandogli un delicato retrogusto speziato.

Insalate di primavera

Complici nelle diete

Ricche di acqua, fibre e sali minerali, le insalate sono l’ideale per fare il pieno di benessere e mantenersi in forma. Anche perché non contengono grassi. Aiutano a depurare l’organismo, contrastano l’azione dei radicali liberi e mantengono l’equilibrio idrosalinico dell’organismo. Le insalate sono tra gli alimenti a più basso contenuto calorico (10-20 Kcal/100 g) ma apportano tanti benefici.

Il giusto mix di benessere

Sempre salutari, le insalate però non sono tutte uguali. Vediamo le differenze tra loro per comporre il nostro piatto ideale. Le principali insalate in commercio si possono dividere in tre grandi gruppi: lattughe, cicorie e indivie. Le lattughe contengono alcune sostanze, come la lattucerina, la lattucina e la iosciamina che esercitano un’azione sedativa e calmante sul sistema nervoso. Molto adatte a essere consumate prima di andare a dormire. Le sostanze amare presenti nelle cicorie, invece, favoriscono la digestione, stimolando l’attività del fegato. Per questo motivo sono ottimi tonici,diuretici e depurativi naturali. Infine, le indivie aiutano a eliminare le tossine e regolarizzare l’intestino, e forniscono molta vitamina C e A.

Prepariamo un ottimo piatto unico

Una buona dieta bilanciata deve saper combinare il giusto mix di carboidrati, proteine, fibre e… anche grassi, indispensabili al nostro organismo. Con i primi caldi, un’insalatona diventa così il piatto ideale per fare il pieno di questi nutrienti, spendendo poco tempo nella preparazione, evitando i fornelli e, anzi, rinfrescandosi con le sue proprietà idratanti. La composizione ideale di questo piatto unico dovrebbe comprendere un po’ tutti gli ingredienti che servono al nostro corpo: insalatina fresca e dissetante abbinata a proteine, carboidrati e un filo di olio crudo. Sì pertanto a tonno oppure uova o formaggio, magari con qualche gheriglio di noce, pomodori e mais.

Sudore e falsi miti

Il sudore è composto principalmente da acqua e un misto di sali come sodio, potassio, magnesio e cloro.
È prodotto dalle ghiandole sudoripare, che raccolgono dal sangue dei capillari gli elettroliti e l’acqua da espellere: la composizione del sudore infatti è piuttosto simile a quella del plasma.

Perché sudiamo?

La sudorazione è un meccanismo con cui il corpo si raffredda per mantenere la temperatura interna a 37 gradi. Quando siamo accaldati ed espelliamo acqua, in un ambiente secco e ventilato questa evapora, portando con sé il calore. Questo meccanismo purtroppo non è altrettanto efficace in climi umidi, in cui il sudore non riesce ad evaporare.
Ma sudare fa dimagrire? Depura l’organismo?
Vediamo di sfatare qualche mito sul sudore!

1- Sudare fa dimagrire

Il sudore è composto da acqua e sali minerali, per fortuna. Se sudare facesse dimagrire, il sudore sarebbe oleoso e rimuovere gli aloni dalle camicie sarebbe molto più complicato!
Questa credenza nasce dal fatto che chi fa attività fisica intensa suda abbondantemente, mentre chi esce dalla sauna pesa meno di quando è entrato. Peccato che la variazione di peso data dalla sauna sia dovuta solo alla perdita di acqua e sali minerali, che vanno reintegrati, e il sudore durante l’attività fisica serva solo a raffreddare il corpo.

Ma quindi come vengono eliminati i grassi e gli zuccheri “bruciati” con lo sport? I grassi vengono spezzati in molecole più piccole, da cui viene ricavata l’ATP (praticamente la “moneta di scambio” dell’energia nelle nostre cellule). Da questo processo vengono liberate acqua e anidride carbonica. L’acqua viene eliminata in parte con il sudore e in parte con le urine, ma l’aumento della sudorazione non va a stimolare il consumo di grassi né vice-versa: semplicemente l’acqua entra in circolo e viene espulsa in base ai bisogni del nostro organismo in quel momento. L’anidride carbonica, invece, viene eliminata attraverso la respirazione.

2- Sudando eliminiamo le tossine

Qualsiasi discorso sul detox menziona le tossine, e molto spesso non si specifica nemmeno cosa siano. Esistono le tossine? Sì, ma non si eliminano sudando, né tantomeno con il succo di carciofo.
Tossina” è una definizione che in medicina definisce sostanze tossiche per l’organismo: metalli pesanti, botulino, micotossine e alcool sono alcuni esempi.
A seconda della sostanza la quantità necessaria a provocare problemi può variare, come anche i sintomi: il botulismo è difficile da confondere con una sbornia e le due condizioni non vanno trattate allo stesso modo (e in ogni caso NON con il succo di carciofo, lo ripetiamo).
A filtrare il sangue e ripulirlo da sostanze potenzialmente tossiche sono fegato e reni, non le ghiandole sudoripare (salvo problemi di salute). Se un paziente si reca all’ospedale per un’intossicazione da mercurio è molto improbabile che lo chiudano in una sauna (per lo meno si spera).

3- Il sudore puzza

Il sudore di per sé non puzza: a provocare il cattivo odore sono i batteri presenti sulla nostra pelle, che proliferano grazie all’umidità. Non è solo questione di sporcizia: anche se l’igiene personale è fondamentale, la flora batterica della nostra pelle può non giocare a nostro favore. In aggiunta, quindi, può essere utile scegliere indumenti traspiranti e utilizzare un deodorante.
E il sudore “ormonale”? Quell’odore che ha reso così insopportabile lo spogliatoio della palestra alle medie è dato dall’attività delle ghiandole apocrine: si trovano vicino a quelle sudoripare, ma solo in alcune zone del corpo, e si attivano con la pubertà. Il loro secreto è lattiginoso e viscoso, contiene ormoni e altri composti che vengono facilmente degradati dai batteri sulla pelle. Per fortuna la loro attività è generalmente molto più moderata.

Sciroppo d’acero: cos’è?

Molti di noi lo hanno conosciuto per la prima volta grazie ai film americani, presentato come inseparabile compagno dei pancake, ma i primi a produrlo e utilizzarlo furono i nativi del Nordamerica: stiamo parlando dello sciroppo d’acero, un dolcificante che si sta via via facendo strada anche in Italia. 

Come si fa

Per produrlo bisogna innanzitutto raccogliere la linfa di aceri che abbiano tra i 30 e i 100 anni durante la primavera, quando la pianta ha convertito l’amido in zucchero e lo trasporta verso i diversi distretti della pianta. Un albero medio produce fino a 12 litri di linfa, che viene poi fatta bollire a lungo, facendo evaporare l’acqua e addensare il composto. 

Sostituto dello zucchero

Lo sciroppo d’acero può essere usato per sostituire lo zucchero in alcune ricette, ma bisogna sempre tener conto del suo sapore, più deciso e riconoscibile: ottimo quindi per i dolci che possono beneficiare di questa caratteristica, meno per quelli più delicati. I composti volatili dello sciroppo d’acero, infatti, gli conferiscono ben 13 diverse famiglie di sapori: vaniglia, bruciato, latteo, fruttato, floreale, speziato, deteriorato, acero, confetto, cereali, erbaceo e ligneo. 

Valori nutrizionali

Costituito principalmente da saccarosio e acqua, apporta circa 260 kcal per 100g e una discreta quantità di minerali come manganese, zinco, calcio e ferro. È meno calorico dello zucchero, che apporta in media 370 kcal per 100g, ma attenzione a non esagerare: si tratta di due dolcificanti da utilizzare con moderazione. 

Non solo pancake

Lo sciroppo d’acero può essere utilizzato anche per accompagnare la carne, in particolare gli arrosti: prova a mescolarlo con la senape o usalo direttamente per glassare il taglio!