La birra nel codice di Hammurabi

Nel 1902 una spedizione archeologia francese scoprì tra le rovine dell’acropoli di Susa, ex capitale dell’Impero Persiano, uno dei più preziosi documenti legislativi della storia: il codice di Hammurabi. Oggi rappresenta uno dei gioielli della collezione di antichità orientali del Museo del Louvre, a Parigi, ma se ne può ammirare una copia anche al Pergamon museum, a Berlino.

Il codice

Prende il nome da Hammurabi, sesto re del primo Impero Babilonese, che governò dal 1792 a.C. circa al 1750 a.C circa. Si tratta forse del primo esempio di leggi esposte alla libera consultazione dei cittadini (per lo meno quelli che sapevano leggere): nella parte superiore è raffigurato lo stesso Hammurabi, in piedi al cospetto del dio Marduk, il sovrano celeste di Babilonia, che gli porge il cerchio e il bastone, simboli tradizionali del potere regale.
Al di sotto si trovano invece delle iscrizioni cuneiformi, suddivise in 51 colonne, con un prologo che occupa tutta la parte superiore delle scritture. Qui il re celebra la propria potenza e la propria autorità, affermando che il suo potere è legittimo e giusto poiché difende il diritto.

A seguire, si possono vedere i 282 articoli del codice, riguardanti la proprietà, la famiglia, la successione, le offese fisiche, gli affitti, i salari, gli schiavi, gli animali e … la birra!

Il “taglione” della birra

Il principio fondamentale di tutto il Codice è la cosiddetta “legge del taglione”, che potrebbe essere tradotta in: “occhio per occhio, dente per dente”. Com’è possibile applicare un tale principio, se si parla di birra?

Presso i Babilonesi la bevanda rappresentava una merce di scambio. Il codice di Hammurabi stabiliva che ogni cittadino doveva avere una razione di birra garantita, distribuita in base allo status sociale. Un manovale, per esempio, riceveva 2 litri al giorno, mentre i dipendenti pubblici 3 e gli amministratori e gli alti sacerdoti 5 litri al giorno.

Gli articoli 108, 109, 110 e 111 sono dedicati ai “reati della birra”:

108: Se una taverniera non accetta frumento secondo il peso lordo per il pagamento della birra, ma prende denaro, o se ricevendo il frumento, annacqua la birra, sia condannata e gettata nell’acqua.

La birra, sostanzialmente, doveva essere venduta al medesimo prezzo dell’orzo, chi applicava un sovrapprezzo, doveva essere annegato.

109: Qualora cospiratori s’incontrino nella casa di una taverniera tenutaria di taverna, e questi cospiratori non sono catturati e consegnati alla corte, la taverniera tenutaria di taverna sia messa a morte.

Questo articolo non necessita di ulteriori spiegazioni.

110: Qualora una sacerdotessa apra una taverna, o entri in una taverna per bere, questa donna sia arsa viva.

Quando una donna decideva di diventare sacerdotessa, il suo percorso era assimilato a un matrimonio con il dio o la dea del tempio, infatti questa scelta poteva essere presa solo in età adulta. Le sacerdotesse potevano sposarsi, avere degli schiavi a disposizione, conducevano uffici religiosi ma, a quanto pare, dovevano rimanere astemie.

111: Qualora una tenutaria di locanda serva a credito 60 Ka (unità di misura non conosciuta) di birra, ella riceva 50 ka di frumento al tempo del raccolto

Difficile dare una precisa interpretazione dell’ultimo articolo, si capisce però che la birra rappresentava un bene comune prezioso, tanto che il governo si impegnava a consegnare dei prodotti, per garantire una continuativa produzione di birra.

Chissà se a Babilonia conoscevano le tecniche della spillatura perfetta: rivediamole!

Si può dire “Birra Vegana”?

La sigla Cruelty free (senza crudeltà) indica i prodotti, alimentari e cosmetici, per i quali non è stato effettuato alcun precedente test sugli animali o che, nel caso del cibo, non contengono ingredienti di origine animale.

Acqua, luppolo, orzo e malto sono gli ingredienti base della birra e rientrano a pieno titolo nella gamma di merce appena descritta. Sostanzialmente, è uso comune considerare la nostra amata birra una bevanda totalmente vegetariana e vegana: non è esattamente la verità.

Immaginazione vs realtà

Mai sentito nominare la colla di pesce?

Si tratta di una sostanza colloidale ottenuta dall’essiccazione delle vesciche natatorie di alcuni pesci, come lo storione. Serve a rendere più limpida e cristallina la birra, andando a isolare sostanze che altrimenti rimarrebbero in sospensione, come lieviti esausti o proteine.

Alcune birre dolci e cremose sono ottenute con l’aggiunta di minime quantità di lattosio proveniente da latte bovino.

Altri tipi, detti Honey Beer, vengono prodotti mediante l’uso del miele, una sostanza naturale ma di origine animale, per conferire alla bevanda un pizzico di dolcezza.

Gli ingredienti appena menzionati sono detti “aggiuntivi”. La legge consente di ometterli dalle etichette se utilizzati in minime quantità, come spesso accade.

Sono sul mercato, inoltre, altre categorie di birra prodotte con alimenti di origine animale. In tal caso però si tratta di un tratto distintivo e unico, perciò i produttori lo specificano a partire dalla descrizione del proprio prodotto. Ne sono un esempio la Mercer’s Meat Stout, realizzata con estratto di carne o la Voodoo Doughnut Maple Bacon Ale, con bacon tra la lista degli ingredienti. Si nota che l’indicazione è presente già nel nome della birra: nella primaMeat (carne), nella seconda Bacon.

Soluzione Veg

Le birre artigianali si contraddistinguono perché, nella maggior parte dei casinon si servono di sostanze che migliorano gusto, colore o consistenza. Possono essere utilizzati piuttosto aromi vegetali, ma alcune prediligono ancora l’utilizzo del miele.

Se non è rintracciabile nell’etichetta, come si fa a sapere quale birra è possibile inserire in una dieta vegetariana o vegana?Esistono diverse associazioni animaliste che hanno stilato una lista di birre “Vegan Friendly”.

È sempre più diffusa inoltre la certificazione VEGANOK, uno standard etico comprendente una vasta gamma di prodotti. Se su una confezione di birra si distingue tale sigla, si può essere sicuri che la derivazione di tutti gli ingredienti non sia di origine animale.

Esempi dal mondo

Crescono esponenzialmente le iniziative volte a convincere i birrai di tutto il mondo a produrre birra vegana, 100% naturale, che si sposa con la richiesta di riduzione dell’impatto ambientale generato da questo settore.

Il brand di abbigliamento Patagonia ha recentemente creato un proprio stile di birra, la Hopworks, ottenuta interamente da ingredienti vegetali. Kernza è invece il nome del grano utilizzato, apparentemente amico dell’ambiente, in quanto i produttori affermano: “Crediamo nell’agricoltura rigenerativa biologica … sequestra carbonio e coltiva efficacemente colture senza fertilizzanti chimici o pesticidi”.

Dopo quasi tre secoli di storia la Guinness ha deciso nel 2016 di convertirsi al “Cruelty free”: niente più colla di pesce nella produzione, sostituita da sostanze vegetali.

Anche gli Inglesi, che occupano una grande fetta della produzione brassicola, si stanno adattando alle richieste dei consumatori: muschio, alghe e sterzanti stanno via via prendendo il posto delle precedenti sostanze aggiuntive.

Una Birra Spaziale!

Quanto abbiamo viaggiato con la mente guardando i film che ipotizzavano il trasferimento della specie umana su pianeti diversi dal nostro? Forse i figli dei nostri figli potranno avverare questo sogno spaziale e magari vorranno una bella birra fresca una bella birra fresca da sorseggiare nel nuovo pub su Marte.

Il primo approccio

Il connubio Birra-Spazio era già iniziato nel 2008: sulla Stazione Spaziale Internazionale nasce la Space Barley, la prima birra con orzo coltivato sulla piattaforma stessa. Furono ricavati 100 litri di bevanda. Sfortunatamente però non è mai arrivata sulla Terra e non è stato possibile berla sullo Spazio, poiché in assenza di gravità l’anidride carbonica delle bevande frizzanti non si separa dall’acqua. Ne conseguono problemi di digestione alquanto sgradevoli.

La birra Vostok

I ricercatori non si sono arresi, la missione doveva essere portata a termine: l’azienda aerospaziale Saber Austronatics e il birrificio australiano 4 Pines hanno creato la prima birra adatta alla consumazione nello Spazio.

È stato ridotto al minimo il contenuto di gas nella bevanda, per permettere agli astronauti di godersi il meritato relax. Un altro ostacolo da combattere per i “turisti dello Spazio” era l’attenuazione dei sapori percepita a grande distanza dalla Terra: la lingua subisce un ingrossamento e le papille gustative ne risentono. I birrai hanno perciò optato per una birra dal gusto deciso e affumicato, una Stout irlandesescura e molto intensa.

È stata chiamata Vostok, in onore della prima missione con equipaggio umano sullo Spazio, datata 1961.

Nel febbraio del 2011 è stato effettuato il primo test, concluso con successo. Qualche anno più tardi si sono fatte delle modificazioni alla bottiglia, per renderla il più possibile adatta al trasporto e alla consumazione. È rivestita di alluminio nero anodizzato: si forma una patina che permette al prodotto una lunga conservazione. Il tappo è composto da alluminio e oro, con un inserto traspirante che permette alla birra di fluire anche a gravità zero. Inoltre, ogni bottiglia è dotata di un bicchiere per la prima degustazione.

Le navicelle non sono ancora pronte, probabilmente neanche noi siamo pronti a lasciare casa, intanto però, per ogni evenienza, abbiamo messo in valigia il primo prodotto fondamentale!

La birra è da sposare

È il giorno che non si dimenticherà mai, anche perché quante fotografie ci sono in giro per casa? A distanza di anni ci sarà sempre qualcuno che chiederà di poter vedere l’album del nostro matrimonio. L’emozione, si sa, inizia a pervadere la sposa quando indossa per la prima volta l’abito che la renderà protagonista della giornata.

L’agitazione cresce quando ci saranno tutti gli invitati a osservarla, ma tutto passa al banchetto, con l’aiuto di qualche brindisi e, soprattutto, della magica bevanda luppolosa.

Un attimo, passo indietro: cosa succederebbe se un ingredientedella birra fosse, così per caso, ciò che compone ogni filo dell’abito dei sogni?

Strano vero? Sì, ma meravigliosamente ecologico!

Tutto merito dell’Acetobacter

Un passo alla volta. Gary Cass si laureò in agronomia e subito fu accolto a lavorare nell’azienda vinicola di un amico in Australia. Un giorno fece un errore grossolano, di quelli che non ti aspetti da un agronomo professionista: dimenticò di aggiungere anidride carbonica al vino prima dell’imbottigliamento. Risultato? I batteri si riprodussero formando una strana patina sulla superficie del contenitore, perciò il vino andò perso.

La passione di Gary per la microbiologia non svanì di certo a causa di questo incidente, anzi. Lo studioso venne assunto come ricercatore dall’Università di Perth, in Australia occidentale. Fu qui che incontrò la famosa stilista Donna Franklin, e da una lunga conversazione tra i due nacque un progetto a dir poco innovativo. Quando l’esperta di moda espresse la volontà di produrre vestiti alternativi, a Cass tornò in mente l’imbarazzante errore commesso vent’anni prima. In sostanza, lo scienziato e la stilista arrivarono alla conclusione che, per realizzare abiti ecologici, bisognava provare a sfruttare le proprietà dei lieviti.

Il migliore sembrava essere l’Acetobacter xylinium, un batterio innocuo che durate la fermentazione della birra è in grado di produrre una fibra di cellulosa simile al cotone e del tutto inodore. Gary Cass si è occupato della parte “chimica”, Donna Franklin nel frattempo ha pensato al design dell’abito da sposa: ne è uscito lo splendido capo che si vede nell’immagine.

Il prodotto ecologico è stato esposto all’Expo di Milano del 2015 nel padiglione in cui si valorizzavano fibre e tessuti di origine vegetale.

Il progetto si è inserito alla perfezione nel periodo in cui le istituzioni si sono rese conto del pericoloso impatto ambientale prodotto dal mondo della moda (come ricordato in questo articolo).

Tuttavia il processo che aveva portato al prodotto ecologico risultava estremamente complicato, perciò non era possibile adattarlo ai ritmi della moda odierna.Le ricerche dello scienziato australiano sono perciò andate avanti e sembra che aggiungendo altre materie prime all’acetobacter, quali derivanti delle noci di cocco e un mix di cellulosasi ricavi una fibra robusta e commercializzabile in tempi più brevi.

È solo l’inizio, gli studi proseguiranno e ne vedremo i risultati solamente nei prossimi anni, ma la strada sembra essere quella giusta.

Abiti e birra

I metodi di produzione sono i classici, ma la birra è la protagonista assoluta di alcuni capi d’abbigliamento nati dalla collaborazione tra Moschino e Budweiser.

Nel 2019 a Shangai il famoso marchio di moda ha presentato gli abiti in edizione limitata dedicati alla nuova birra prodotta dal birrificio statunitense: la speciale Pulse.

I 15 pezzi realizzati riportano perfettamente il design della lattina sui vestiti, attraverso i colori scelti per rappresentare la birra di Budweiser: rosso, blu navy, oro e bianco.

Finirà mai di stupirci la nostra amata bevanda?

Miele Italiano, che bontà!

Italia, terra di artisti, poeti, santi… e terra di miele. Proprio così: terra di miele!

Lo sappiamo, il nostro Paese vanta una straordinaria varietà di prodotti tipici e tradizioni culinarie, ma in questo panorama il miele occupa un ruolo principale.

Clima e storia

Il nostro clima rende l’Italia indicatissima alle fioriture – spontanee e coltivate – adatte alla produzione di questo nettare prezioso, di cui l’uomo si ciba da oltre 9.000 anni!

Risale a quell’epoca la prima testimonianza preistorica del rapporto tra uomo e miele: un graffito del mesolitico ritrovato alla Cueva de Araña, in Spagna, raffigurante una scena di raccoglitori di miele. La figura incisa sulla pietra mostra un uomo che, munito di un recipiente, raggiunge una fessura tra le rocce che ospita un alveare. Le api gli ronzano attorno in gran numero, mentre un secondo individuo, in piedi, osserva dal basso la scena.

Apicoltori e miele

Da allora, gli apicoltori sono molto cambiati. In particolare, quelli italiani che, tra gli allevatori di api, sono considerati dei maestri. Anche perché – lo sottolineano con particolare orgoglio – le api allevate nel mondo sono soprattutto di origine italiana.

Inoltre, il nostro miele è considerato tra i più pregiati e ne produciamo almeno trenta tipi differenti. Un primato che ci invidia tutto il mondo.

Tra i più famosi tra i cosiddetti “mieli monoflora”: acacia, castagno, asfodelo, cardo, rosmarino, nespolo, rododendro, tarassaco, corbezzolo, eucalipto, sulla, lupinella, abete. Alcune tra queste varietà sono delle vere e proprie rarità alimentari, molto difficili da produrre e ottenute solo grazie alla maestria, all’impegno e alla dedizione dei nostri apicoltori e delle loro operose api.

Un alimento ancora poco conosciuto

Eppure, strano a dirsi, in Italia il miele è un alimento ancora poco conosciuto e poco sfruttato per le sue numerose proprietà. Lo usiamo principalmente come dolcificante o come rimedio ai malanni di stagione, quando in realtà è un alimento completo di vitamine, sali minerali (calcio, ferro, fosforo) ed enzimi preziosi per la nostra salute. Gli zuccheri che contiene, glucosio e fruttosio, sono presenti in forma semplice e direttamente assimilabili dal nostro organismo.

Il miele è un alimento semi digerito e leggerissimo, adatto al consumo da parte di giovani, anziani e, specialmente, agli sportivi. Si tratta di un cibo molto zuccherino, da consumare con moderazione.

Introducilo nella tua dieta: a colazione sulle fette biscottate o abbinato alla carne e a formaggi.

Miele italiano: i magnifici 7

Parlando di eccellenze, ecco sette tra i più saporiti mieli italiani che ti consigliamo di provare:

Miele Millefiori dei Monti Iblei

Proveniente da una piccolissima area della Sicilia, il miele ibleo è uno dei millefiori italiani che gode di più antica fama. Prende il nome dai monti Iblei: una catena della Sicilia Sud-Orientale compresa tra il fiume di Caltagirone, il Dirillo, la piana di Catania e il mare. Il suo sapore è dato dalle fioriture di timo, una fragranza unica. A parlarne è perfino Virgilio, che nelle sue Bucoliche, tesse le lodi delle api iblee e acenna alla bontà del timo ibleo in riferimento a Galatea, la ninfa amata da Polifemo. La produzione estremamente localizzata ne rende possibile l’assaggio quasi unicamente in loco.

Miele di Acacia

Il miele di acacia è uno dei pochi che si mantiene fluido nel tempo, senza bisogno di processi di pastorizzazione, cosa che lo rende il tipo di miele più richiesto sul mercato. Ha un aroma leggero, delicato, simile a quello del fiore.

La sua storia è legata alla scoperta delle Americhe. La pianta dell’acacia è infatti originaria del Nord-America (Pennsylvania, Carolina, Georgia, Indiana, Oklahoma). A introdurla in Europa fu Jean Robin (1550-1629), capogiardiniere reale di Enrico IV e Luigi XIII a Parigi, dando il via a una vigorosa espansione della pianta, soprattutto in Lombardia, dove questo miele viene prodotto fin dall’inizio dell’800.

Miele di Agrumi

Se andate in Sicilia, non provate a chiamarlo miele di agrumi. Nell’isola è chiamato solo ed esclusivamente miele di zagara: il nome dei fiori dell’arancio. Ha un lieve e tipico aroma di fiori di arancio e di limone.

La sua storia è collegata alla diffusione dell’arancio nella nostra penisola, avvenuta in concomitanza all’epoca delle crociate è uno dei più apprezzati mieli da tavola ed è il più adatto per dolcificare il tè al limone. Entra inoltre come ingrediente fondamentale in molti dolci tipici siciliani (ad esempio la pasta reale).

Miele di Corbezzolo

Miele sardo, miele di corbezzolo, miele amaro: le denominazioni di questo miele sono numerose, ma è impossibile confonderlo. Ha un aroma amaro, intenso e molto persistente.

Anche se conosciuto e prodotto fin dall’antichità, solo negli ultimi anni il miele di corbezzolo è diventato un miele famoso, molto ricercato e richiesto. Anticamente era incece considerato scadente, come riportato da Columella (I sec. d.C.) nel suo De Rustica (IX.4, 2-7). Negli ultimi anni gode per fortuna di enorme successo, grazie alle sue virtù terapeutiche e alla sua fragranza unica. È adesso una rarità locale molto apprezzata anche all’estero.

Miele di Eucalipto

Il miele di eucalipto si riconosce ad occhi chiusi, grazie al suo aroma caratteristico, forte e deciso. Ma stranamente non è affatto balsamico. Ricorda piuttosto la liquirizia.

Nasce in concomitanza con la diffusione in Italia della specie botanica da cui è ricavato. L’eucalipto giunge nella nostra penisola solo nel 1800, e la sua coltivazione su larga scala si avviene solo tra l’inizio di questo secolo e il 1940, in concomitanza coi grandi lavori di bonifica. Un tempo si riteneva infatti che l’odore delle foglie di eucalipto potesse combattere la diffusione della malaria.

Oltre che in cucina, dove viene utilizzato per la preparazione di salse all’agrodolce aromatizzate, è indicato a scopi terapeutici, per lenire i problemi legati a bronchiti e raffreddamenti.

Miele di Rododendro

Questo miele gode di un primato. È in assoluto il monoflora raccolto alle quote più alte della montagna. Ha un aroma tenue che ricorda il profumo del fiore da cui ha origine.

La produzione e commercializzazione di questo miele è molto recente (dal 1950 in poi). Produrlo non è affatto facile. Questi fiori vivono infatti esclusivamente a quote molto alte, dove le api riescono a vivere e lavorare solo in estate. E’ quindi necessariamente legato alla pratica del nomadismo. In luglio gli alveari vengono trasporati, spesso a spalla dagli apicoltori, nelle zone più ricche di questa fioritura, dove rimangono fino alla metà di agosto. Il brutto tempo può inficiare drasticamente la produzione. Questo spiega perché sia il miele, insieme a quello di corbezzolo, tra i più costosi sul mercato.

Per assaggiarlo è necessario programmare una gita in Valtellina o in Val Camonica, dove viene commercializzato sia dai negozianti del luogo sia in occasione delle numerose sagre locali.

Miele di Castagno

Infine, il miele di castagno, il nettare che contiene la percentuale più alta di sali minerali, caratteristiche che ne fa un alimento particolarmente adatto ai giovani e agli sportivi. Le sostanze minerali sono infatti componenti di alto valore nutrizionale, ma per essere assimilate vanno assunte sotto forma di sali, come appunto avviene nel miele di castagno.

Nell’antichità veniva considerato, un po’ come tutti i mieli scuri a retrogusto amaro, come un miele di bassa qualità. Da qualche anno gode invece di grande fama e apprezzamento. Una delle aree di maggiore produzione è la Calabria, ma è possibile raccoglierlo anche sull’Appennino ed anche sulle quote medie delle Alpi.

Pronto ad assaggiarli tutti?

Le migliori cittadinanze

È un dato di fatto che, purtroppo, non tutte le cittadinanze sono uguali: essere cittadini di un Paese piuttosto che di un altro è un dato che influisce sulle nostre vite in maniera drastica.

L’Italian Dual Citizenship ha stilato una classifica delle cittadinanze più vantaggiose, in base a criteri quali, tra gli altri, libertà di movimento, qualità della sanitàdemocraziadiritti umani e uguaglianza di genere.

Al primo posto c’è l’Islanda: il Paese numero uno per la parità di genere, dove è legale il matrimonio omosessuale, esiste un congedo parentale di 12 settimane per il padre e il punteggio della struttura democratica è secondo soltanto alla Norvegia.

Medaglia d’argento all’Irlanda, principalmente per l’alta mobilità garantita dal suo passaporto: i cittadini possono visitare 170 Paesi senza visto o con visto all’arrivo.

Chiude il podio la Finlandia: la top 10 è quasi interamente composta da Stati europei, con la Nuova Zelanda unica “intrusa” alla posizione numero 10. Dopo Islanda e Irlanda seguono infatti Finlandia, SveziaRegno UnitoPaesi BassiDanimarcaNorvegiaLussemburgo e Nuova Zelanda.

L’Italia classifica ventiduesima, sotto la Spagna e sopra Israele.

Genotipo, terroir e Collio Friulano

Cosa rende così speciali i bianchi friulani? In questo articolo indagheremo il rapporto tra il territorio del Colli o e i vini Gotis Furlanis, l’etichetta esclusiva di Pam Panorama per vini DOC come Pinot Grigio, Sauvignon, Ribolla Gialla ferma, Chardonnay e Spumante Brut Ribolla Gialla.

Una zona DOC

Il Collio è un’area collinare che si estende tra Gorizia e Dolegna. È stata tra le prime zone a ricevere la denominazione DOC. Ma qual è il significato di questa sigla?

La Denominazione di Origine Controllata è usata in enologia per certificare la provenienza delle uve da un’area precisa. In molti prodotti enogastronomici, infatti, l’area geografica d’origine ha una grande influenza sulle qualità organolettiche. Per capirne il motivo, dobbiamo parlare un attimo di genetica, in particolare di due definizioni fondamentali.

Genotipo e Fenotipo

Ogni organismo animale o vegetale è composto da cellule contenenti un DNA unico. Questo contiene i geni, che possiamo definire, alla buona, il “libretto di istruzioni” dell’organismo stesso. È dalle informazioni contenute nei geni, il cui insieme si definisce genotipo, che vengono costruite tutte le componenti di quella pianta o di quell’animale. Grazie alla selezione di particolari caratteristiche e l’ibridazione tra più organismi, l’uomo nei millenni ha ottenuto vegetali che offrono frutti più ricchi di polpa e animali più docili e dalle carni più nutrienti.

Eppure il genotipo, da solo, non basta. Prendiamo due gemelli omozigoti: alla nascita saranno quasi identici, ma con il passare degli anni possono diventare anche molto diversi a seconda dell’alimentazione, il lavoro che svolgono, l’attività fisica e le abitudini in generale. Uno potrebbe essere muscoloso e l’altro fuori forma, uno potrebbe invecchiare più precocemente. Questi aspetti dipenderanno dall’ambiente.

Si definisce fenotipo il complesso dei caratteri visibili dell’individuo, che sono il risultato dell’interazione tra il patrimonio genetico e i fattori esterni.

Ok, ma cosa c’entra con il vino? Adesso ci arriviamo.

Il Terroir

Per avviare un vigneto bisogna innanzitutto scegliere la vite. A seconda della varietà scelta si otterrà un certo tipo di vino, ma le sue qualità organolettiche saranno influenzate anche dall’ambiente.
Il clima può incidere sulla quantità di zuccheri e sul tenore alcolico, mentre la composizione del terreno, con la sua ricchezza di minerali e la capacità di trattenere l’acqua, determinerà lo sviluppo del vigneto. Anche il fattore umano, con le tecniche di coltura e le tradizioni vinicole del territorio, faranno la differenza.

Il legame tra un prodotto e le caratteristiche del luogo in cui nasce si chiama terroir.

Vediamo quindi cosa caratterizza il terroir del Collio Friulano.

  • Flysch: questo termine indica una successione di strati di arenaria e marna. È una composizione del suolo caratteristica degli ambienti un tempo coperti dal mare, dove i materiali si sono depositati l’uno sull’altro in tempi relativamente brevi a causa di frane marine e correnti. Questo impasto conferisce al vino le caratteristiche di mineralità e freschezza.
  • Brezze marineprovenienti dall’alto bacino adriatico, che rendono l’aria più pulita e meno umida.
  • La pendenza superiore al 30% ha reso necessaria la costruzione di terrazzamenti per poter coltivare la vite. Questo implica che la vendemmia sia svolta rigorosamente a mano (la cosiddetta vendemmia eroica), pratica molto più faticosa, ma che permette una miglior selezione delle uve raccolte.
  • La cultura della popolazione è strettamente legata al vino, dalla produzione alla degustazione. Vi è un profondo rispetto per il territorio e per la tradizione enologica.

Vini Gotis Furlanis

In questa zona di eccellenze, Pam Panorama ha selezionato la cantina che più rispecchiava i valori di italianità, sostenibilità e tradizione. Nasce così l’etichetta Vini Gotis Furlanis, una linea di grandi bianchi friulani destinata esclusivamente ai punti vendita Pam e Panorama.

La Cantina Produttori Cormòns è un esempio virtuoso di valorizzazione del territorio e coltura sostenibile. È gestita da 120 famiglie di viticoltori, portatori di una tradizione secolare che ci permette oggi di degustare vini come Pinot Grigio, Sauvignon, Ribolla Gialla ferma, Chardonnay e Spumante Brut Ribolla Gialla.

La sostenibilità ambientale è garantita da un meticoloso rispetto delle buone pratiche di cura della vite, monitorando tutte le procedure attraverso il proprio “quaderno di campagna“. Otto stazioni meteorologiche analizzano quotidianamente le temperature di aria e terreno, la velocità e la direzione del vento, le piogge e le radiazioni solari. Questi parametri permettono di monitorare l’andamento di eventuali infezioni della pianta in relazione al clima, permettendo di intervenire sul territorio solo quando necessario.

Una scelta di valore

Acquistando i vini Gotis Furlanis sostieni l’attività di chi ha scelto di valorizzare il territorio e i suoi prodotti tipici, rispettando una tradizione che fa parte della nostra identità.

Scopri la storia dei prodotti e dei loro produttori nella pagina del progetto Insieme a Te Per l’Italia.

Meraviglie del mondo: la Grande Muraglia Cinese

La Grande Muraglia Cinese, l’unica opera umana visibile dallo spazio
Peccato che non sia proprio così! Nell’orbita terrestre, a bassa quota, sono visibili tutte le strutture realizzate dall’uomo: strade, ponti, aeroporti… Dalla Luna, la Grande Muraglia non è nemmeno lontanamente distinguibile.
Si tratta tuttavia di un’opera imponente e impressionante.

Nell’VIII secolo a.C. alcuni stati feudali, per proteggersi dalle razzie dei nomadi del nord e dagli altri stati feudali, eressero diverse muraglie in terra battuta.

Quando l’Imperatore Qin Shi Huang unificò gli stati nel III secolo a.C., si trovò a comandare un territorio protetto a ovest dall’Altopiano del Tibet e a est dall’Oceano Pacifico: la frontiera del nord era ancora vulnerabile agli attacchi dei popoli Mongoli, Uyghur e Xiongnu.

Decise quindi di collegare le varie muraglie costruite in passato dai feudali, espanderle e fortificarle. Per farlo si servì, anche con la forza, di soldati, contadini e criminali: si trattò di centinaia di migliaia di costruttori.

Sotto la dinastia Han la muraglia diventò ancora più grande, toccando i 6000 km, da Dunhuang al Mare di Bohai. Fonti scritte dell’epoca fanno menzione di fosse comuni vicino alle mura dei lavoratori e dentro le mura stesse. Non sono stati trovati resti umani dentro le mura, ma nelle fosse l’analisi delle ossa riferisce che molti lavoratori sono morti per incidenti, fame ed esaurimento.

La muraglia era formidabile, ma non invincibile: sia Genghis che suo figlio Khublai Khan sono riusciti a superarla durante l’invasione mongola del XIII secolo.

Con l’ascesa al potere della dinastia Ming nel 1368 ripartirono i lavori di espansione e fortificazione delle mura. Una media di 7 metri di altezza e sei metri di larghezza, si arrivò agli 8851 km di lunghezza, costellati di torri di vedetta, dalle quali in caso di avvistamento di nemici veniva emanato un segnale di fuoco e di fumo in richiesta di rinforzi. Piccole aperture lungo le mura consentivano agli arcieri di proiettare frecce, mentre cavità più grandi permettevano di lanciare massi o altro.

Nel 1644 i clan Manchu rovesciarono i Ming per stabilire la dinastia Qing, che comprendeva la Mongolia: per la seconda volta, la Cina era governata dallo stesso popolo contro il quale era stata realizzata la muraglia. Le mura avevano perso il loro scopo e senza manutenzione iniziarono a deteriorare.

Alcune parti di muraglia servirono la loro missione primaria quando difesero la Cina dalle invasioni giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Oggi il loro scopo è culturale: è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1987.

Originariamente costruito per tenere la gente fuori dalla Cina, oggi è il motivo per quale ogni anno milioni di persone si recano a visitarla. E occasionalmente si scoprono ancora alcuni pezzi di muraglia seppelliti dal tempo.

La Torre di Pisa: la bellezza dell’imperfezione

La Torre di Pisa è uno dei simboli dell’Italia nel mondo, riconoscibile grazie a un celebre errore di progettazione.

Nel XII secolo i lavoratori della ricca Repubblica marinara di Pisa erano all’opera per trasformare la piazza principale. La chiesa, già esistente, venne ingrandita e abbellita, e venne costruito un massiccio battistero a cupola.

Nel 1173 iniziò la costruzione della Torre. Per quanto gli architetti e gli ingegneri del tempo fossero dei maestri nelle loro discipline, erano molto meno esperti del terreno soggiacente. Sotto la superficie della città, la terra è argillosa, fangosa e sabbiosa.

Gli antichi Romani affrontavano una simile situazione attraverso l’impiego di massicci plinti di pietra come fondamenta. Per questa costruzione, si pensò che le fondamenta di 3 metri fossero sufficienti, ma soltanto cinque anni dopo il lato sud della torre era già sottoterra.

La costruzione dell’edificio si interruppe al quarto piano per circa un secolo, quando Pisa entrò in guerra. Durante questa lunga pausa il terreno si assestò, e quando ripresero i lavori nel 1272, la fondazione era più stabile. Sotto la direzione dell’architetto Giovanni di Simone, si cercò di compensare alla leggera inclinazione facendo i seguenti piani più alti sul lato sud. Questo comportò che il peso di questo lato si aggravò e l’edificio sprofondò ancora di più in quel punto, arrivando a inclinarsi a un angolo di 1,6 gradi.

Per i secoli a venire, gli ingegneri misero in campo numerose strategie nel tentativo di raddrizzare la Torre: tutte peggiorarono le cose. Nel 1838 venne scavata una passerella intorno alla base per esaminare la fondazione sommersa, ma la rimozione del terreno circostante aumentò la pendenza. Nel 1935 venne iniettata una malta per rafforzare la base, ma questa non venne distribuita in maniera omogenea nelle fondamenta e il risultato fu un ulteriore sprofondamento.

Tutti questi tentativi falliti, e il terreno di per sé incostante, portarono la Torre di Pisa a pendere di 5,5 gradi, oltre il punto stimato di crollo.

Negli ultimi decenni, grazie alle moderne tecnologie, gli ingegneri sono venuti a conoscenza di tutti i dati relativi al terreno di cui avevano bisogno per definire esattamente il baricentro della torre, la sua traiettoria e a calcolare con precisione quanto scavare per evitare il crollo dell’edificio.

Nel 1992 vennero scavati dei tunnel diagonali per rimuovere 38 metri cubi di terreno da sotto il lato nord della Torre. Controbilanciarono temporaneamente la struttura con 600 tonnellate di piombo e ancorarono la base con cavi d’acciaio. Si decise di mantenere un angolo di 4 gradi per non perdere la caratteristica che ha reso l’edificio famoso in tutto il mondo, e così dovrebbe restare per almeno altri 300 anni!