Karma non è destino

“Ti sta bene. Questo è il karma.” Chi sarà mai questo karma?

Spesso utilizziamo dei termini così, per sentito dire. Per carità, la prima frase ha un fondamento di verità, ma per esprimerci correttamente dovremmo quantomeno sapere il significato “completo” delle parole di cui ci serviamo.

Il concetto di “karma” è infatti per alcune civiltà l’essenza stessa della vita. Riveste un’importanza tale da guidare tutti i comportamenti delle persone che credono nella sua validità. Credere in tale concetto e quindi utilizzare il termine presuppone, in sostanza, una serie di atteggiamenti atti a prendersi cura del proprio karma, altrimenti sarebbe come dire “Dio aiutami”, non credendo nell’esistenza di alcun dio.

Il concetto

La credenza iniziò a diffondersi, secondo gli storici, negli ultimi secoli a.C., per poi essere tramandata nelle civiltà indiane per via orale.

Oggi è uno dei capisaldi di due religioni molto praticate nel mondo orientale: Buddhismo e Induismo.Entrambi i culti si basano sul concetto della reincarnazione: è solo il corpo a morire, l’anima continuerà a vivere in eterno.

Il karma si può definire come l’unione di azione e intenzione, con la seconda che domina la prima: un’azione non è “buona” se non vi è “buona” intenzione nel compierla. L’azione che l’essere vivente compie o non compie va a generare sempre delle conseguenze. Queste si andranno a ripercuotere proprio su colui che ha eseguito l’azione. In sostanza: se assumi un comportamento positivo, otterrai delle conseguenze positive.

L’anima però, come abbiamo detto, è eterna, perciò il modo di agire di un individuo andrà a determinare una “beata” o “sofferente” reincarnazione.

Buddhisti e induisti partono da un concetto di base comune, ma hanno un modo diverso di interpretarlo e applicarlo.

Per i primi, il karma è quello che si intendeva nell’affermazione iniziale: nulla rimane impunito e nulla è immeritato. Se fai qualcosa di ingiusto, subirai un’ingiustizia. In tale visione non c’è spazio per il destino, o se preferite il fato: non esiste un’entità sovrannaturale che regola ciò che succederà nella vita di un essere vivente. Si potrebbe riassumere in “Ciò che semini raccogli”.

Gli Induisti invece inseriscono il karma “terreno” all’interno di un karma metafisico superiore, al quale neanche gli dei possono sfuggire. Le azioni buone vanno a rendere l’anima “pura”, ma un’anima pura non avrà necessariamente una vita felice, se il Karma universale decide per un’esistenza disgraziata.

Occidentalis karma

Francesco Gabbani ha riscosso un grande successo al Festival di Sanremo 2017, con la canzone “Occidentalis karma”. I riferimenti filosofici sono numerosi e il testo va a toccare diversi concetti. Rimandendo sul titolo e sul nostro karma, riprendiamo le parole di Fabio Ilacqua, scrittore del testo insieme a Gabbani: “L’occidentale che si rivolge alla cultura orientale lo fa sempre come un turista che va in un villaggio vacanze. La cultura orientale viene vista come fuga dallo stress, ma non è nata per questo. È la banalizzazione di qualcosa di profondo che c’è lì però, solo lì, noi siamo turisti di qualcos’altro, per noi diventa uno sport”.

La maggior parte degli occidentali confonde karma con destino: si pensa ad esempio che il non agire non porti a conseguenze. Nelle culture che fanno del karma principio di azione, non fare nulla non vuol dire essere lasciati in pace anzi, se non si agisce per pigrizia o per qualsiasi altra intenzione negativa, in futuro ci saranno situazioni in cui si verrà ripagati con le medesime intenzioni.

Appropriazione culturale

Dall’orientalismo alla corrente New Age, il mondo occidentale ha sempre attinto a culture millenarie per rimodellarle e adattarle a contesti completamente diversi. Ed eccoci qui, ad ascoltare musica balinese con le gambe incrociate nella posizione del loto, intenti a scrollare la home di facebook e insultare degli Americani che hanno chiamato “carbonara” un piatto di maccheroni al microonde. E non ci rendiamo conto di star facendo la stessa cosa.

Sia chiaro, non è intrinsecamente sbagliato fare yoga ascoltando Beyoncé, né lo è (ci costa ammetterlo) mettere il cheddar cheese sulla pizza. Viviamo in un mondo globalizzato e lo scambio reciproco di parole, abitudini, ricette, costumi e canoni estetici è sempre avvenuto sin dagli albori della storia umana. Ognuno è libero di interpretare concetti, nozioni e termini come meglio crede, ma si dovrebbe avere la sensibilità di rispettare le altre culture quando, per qualsiasi ragione, si vogliono far proprie.

La casa Feng Shui

Noi siamo come arrediamo. La nostra casa, lo specchio delle energie che ci animano.
Lo insegna il Feng Shui che in lingua cinese significa «vento e acqua», un termine utilizzato nella cultura asiatica per definire la disciplina che si occupa della lettura e dell’interpretazione del paesaggio, degli edifici e degli spazi interni, per favorire il flusso dell’energia presente nell’universo.
Niente a che vedere quindi con la definizione riduttiva che spesso viene data in occidente di «filosofia dell’arredamento».
Questa pratica, di origine tibetana, è legata alla geomanzia, ossia all’arte divinatoria che interpreta i segni della natura. Negli anni è rimasta un caposaldo della cultura orientale, a tal punto che rimane tutt’oggi pratica diffusa rivolgersi a un esperto di Feng Shui prima dell’acquisto o della costruzione di una casa.
Tutto avviene secondo regole piuttosto complesse, basate su mappe e geometrie. Questo però non significa che sia impresa ardua applicare il Feng Shui alle nostre case. Al contrario, ogni piccola modifica nella disposizione degli arredidelle stanze e dei colori dovrebbe aiutare l’energia ad affluire migliorando la nostra vita quotidiana.

I colori nel Feng Shui

I colori nel feng shui assumono un ruolo fondamentale poiché sono da intendersi come sfumature tra i due poli dell’energia, lo yin e lo yang, il bianco e il nero. Ciascuno di essi ha delle proprietà che vanno sfruttate per favorire il flusso di energia, chiamata Chi o Qui.

  • Il verde è il colore della natura, simboleggia crescita e studio
  • Il rosso è di buon auspicio, soprattutto se abbinato al nero, rappresenta la vita animale e l’apprendimento
  • Il giallo è portatore di buon umore e longevità
  • Il bianco richiama la fortuna e il denaro
  • Il nero aiuta il riposo e la quiete delle idee

In base a questi principi potete quindi organizzare i vari ambienti della casa, scegliendo i colori in base al vostro “sentire”.

Consigli di arredamento

Se le pareti sono bianche occorre contrapporre oggetti dai colori scuri e far prevalere le luci naturali su quelle artificiali introducendo elementi naturali come piante, pietre, sassi e pezzi di legno.

Per migliorare l’apporto energetico della stanza, un’ottima idea è quella di includere immagini particolarmente ispiratrici: foto di famiglia, quadri, guide spirituali e poster motivazionali.

Createvi uno spazio per potervi sedere, dove meditare e leggere, possibilmente al centro della stanza. La testa va rivolta verso il punto cardinale che può stimolare maggiormente la vostra concentrazione, generalmente l’est.

Introducete l’elemento acqua, che si concilia con un accrescimento dell’energia associata alla realizzazione personale. L’acqua dev’essere sempre fresca e pulita e mai sporca e stagnante, o provocherebbe l’effetto opposto.

Per propiziare l’energia positiva e il rilassamento, vengono consigliate le lampade al sale rosa dell’Himalaya, candele profumate a base di cera d’api vergine e bastoncini aromatici.

Feng Shui in camera da letto

La camera da letto dovrebbe essere la stanza della casa più lontana possibile dall’ingresso. In particolare, immaginando di dividere la casa in due parti con una linea parallela a quella della porta, la stanza da letto andrebbe posizionata «nell’altra metà».
Secondo la filosofia Feng Shui il letto deve avere la testata rivolta verso est e i piedi non dovrebbero mai puntare verso la porta. Qualora ciò non fosse possibile, l’ideale sarebbe collocare uno specchio esattamente opposto all’ingresso della camera.
Per garantirsi sonni tranquilli cercate di eliminare gli oggetti non funzionali al riposo.

No, quindi, al disordine. Via gli oggetti stipati sotto il letto e quelli in giro che servono ad altro, come il computer o il cellulare.

Feng Shui in ufficio

Anche sul luogo di lavoro, attraverso alcuni accorgimenti, è possibile mettere in atto i principi del Feng Shui. Oltre all’attenzione ai colori, è importante essere circondati da un ambiente pulito e ordinato.
Mai dare le spalle a porte o finestre e meglio un muro orientato verso nord.
Anche la vista è importante: la scrivania andrebbe disposta in modo tale da avere lo sguardo rivolto verso l’ambiente esterno.

Questi sono in sostanza i principi del Feng Shui, indicazioni che permettono di condurre una vita in armonia con gli ambienti senza ostacolare o bloccare i flussi energetici che interessano i nostri chakra.

La casa intelligente

Tutti gli esseri viventi sulla Terra, dalla loro prima comparsa a oggi, sono stati soggetti a un processo di evoluzione naturale.

L’uomo, da poco più di un secolo, ha attuato un proprio percorso di evoluzione, da molti chiamato “rivoluzione”, che non riguarda caratteristiche fisiche, bensì gli oggetti di cui ci serviamo quotidianamente. Una semplice bicicletta, ad esempio, oggi può essere accompagnata da un motore elettrico; una carta geografica si può trovare su uno schermo ed è in grado di darci le indicazioni di cui abbiamo bisogno.

Si potrebbero fare milioni di esempi ed è possibile affermare che i tempi di esecuzione delle nostre azioni si sono ridotti esponenzialmente. Tutto ciò è risultato possibile grazie ad un’invenzione del 1969 nata negli USA: internet.

Oggi ci soffermeremo su una delle ultime agevolazioni di cui possiamo godere, grazie alle enormi potenzialità dello strumento internet: la “smart home”.

Smart home

La “casa intelligente” non è sicuramente una tecnologia di uso universale come può essere lo smartphone, ma si sta affermando sempre di più negli ultimi anni.

In Italia infatti, a titolo di esempio, ci sono più di mille aziende che lavorano nel settore; si è stimato un valore economico di questo comparto di mercato nazionale pari a 380 milioni di euro nel 2018.

Esiste una vera e propria disciplina che si occupa di studiare le “nuove case”: la domotica. E’ per definizione la scienza che studia le tecnologie applicabili alla casa. L’obiettivo primario consisteva nel poter controllare alcuni sistemi elettronici dell’edificio, come impianto di riscaldamento o luci, direttamente da un dispositivo gestito dal proprietario da qualsiasi luogo, tramite ovviamente la connessione internet.

In pochissimo tempo sono stati prodotti i primi sistemi, che sono stati aggiornati anno dopo anno fino ad arrivare ad una nuovissima tecnologia: la smart home, appunto.

E’ intelligente perché riesce a prendersi cura di se stessa e di chi la abita autonomamente.

Ma come fa?

Come funziona

Il sistema casa si appoggia a una rete di sensori dislocati nei punti strategici dell’abitazione, che rilevano in tempo reale centinaia di parametri. Ognuno di questi sensori, al verificarsi di una specifica condizione, attiva un dispositivo, un“attuatore” che compie una specifica azione: per esempio, accende il riscaldamento quando si abbassa la temperatura, o spegne l’impianto di irrigazione del giardino se sta piovendo.

Chiaramente alcuni sensori sono collocati all’esterno della casa per poter comunicare a quelli interni le condizioni meteo in tempo reale.

Nei sistemi più evoluti sensori e attuatori sono controllabili da un unico pannello che può essere gestito da una pagina web o da una app.

Fino a qui non è proprio chiaro l’attributo “intelligente”, perciò diamone un esempio più palese: se fuori piove e noi abbiamo impostato una sveglia ad un certo orario, la smart home la farà suonare qualche minuto prima, alzando allo stesso tempo le tapparelle, per permetterci di arrivare in orario.

Sicurezza

Anche sul piano della sicurezza questi sistemi sono decisamente efficaci. La chiave tradizionale è sostituita da codici di ingresso gestibili tramite app. Vengono impostate diverse telecamere che, nel caso in cui qualcuno tentasse di intrufolarsi, attivano tutte le luci della casa e fanno partire una chiamata di emergenza alle forze dell’ordine. I rilevatori di fumo e di temperatura all’interno invece sono in grado di riconoscere un focolaio di incendio. Disattivano immediatamente la corrente elettrica e aprono le valvole dell’impianto di spegnimento. Contemporaneamente lanciano l’allarme ai vigili del fuoco e sbloccano le porte della casa in modo che nessuno rischi di rimanere intrappolato all’interno.

Quanto costa

Esistono più categorie: dalla basica che permette di gestire luci e riscaldamento, alla integrata che comprende anche ad esempio irrigatori esterni, sistemi di sorveglianza e tante altre funzionalità.

Un sistema “completo” (quello che abbiamo descritto tramite gli esempi precedenti) parte da 15-20000 euro e può variare in base alla metratura della casa, al numero di locali, punti luce e prese, sommati a diversi altri parametri.

Secondo gli esperti questa non sarebbe una spesa, bensì un investimento. Essendo collegato ad internet, il sistema è in grado di far entrare in funzione un elettrodomestico nel momento più conveniente della giornata secondo le soglie energetiche. I sensori delle serrande sfruttano automaticamente la luce esterna, lasciandole aperte e spegnendo le luci dell’abitazione. Questi sono solo alcuni esempi delle potenzialità di risparmio derivanti da un sistema smart home.

Ciò che è sicuro, per non dire scontato, è che prima di investire su tale tecnologia è necessario installare una connessione internet molto potente e veloce.

Vantaggi e svantaggi dell’aria condizionata

Storia

Brooklyn, 1902: nella tipografia Sackett & Wilhelms si lavora alacremente, ma il caldo estivo rende difficile la gestione della carta. Sarà l’ingegnere americano Willis Carrier a proporre la soluzione: il primo condizionatore d’aria.

In meno di dieci anni tutte le industrie americane la cui produzione soffriva di fluttuazioni termiche si convertirono all’aria condizionata. “La produttività è al massimo e i lavoratori cercano di farsi assumere negli impianti dotati di aria condizionata” dichiarava già nel 1931 la Carrier Corporation.

Oggi la diamo per scontata, ma l’aria condizionata ha un impatto enorme sulle attività umane e sullo sviluppo urbanistico: sarebbe stato possibile aprire cinema, casinò e grattacieli in metropoli come Las Vegas, Miami, Singapore e Dubai?

Come funziona

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si conserva: questo vale anche per l’energia termica. Quando sudiamo l’acqua del nostro corpo accaldato si espone sulla superficie della pelle, pronta a evaporare. Nel momento in cui si trasforma in vapore acqueo porta con sé un po’ di calore, lasciandoci più freschi. Un condizionatore, allo stesso modo, utilizza un fluido che passa da liquido a gassoso sottraendo calore all’ambiente e torna liquido cedendolo da un’altra parte. In pratica il condizionatore “sottrae” il calore dall’ambiente interno per rilasciarlo all’esterno, utilizzando un fluido come vettore.

Ma è vero che può causare problemi di salute? E qual è il suo impatto ambientale?

I vantaggi

Ad oggi nessuna ricerca scientifica ha mai dimostrato che il freddo provochi direttamente raffreddori, mal di gola, tosse o addirittura l’influenza. Per ammalarsi è necessaria la presenza di virus e alcuni tipi di batteri, che sono veicolati più facilmente da un ventilatore rispetto a un condizionatore.

Il climatizzatore si rivela provvidenziale anche per bambini e anziani, più sensibili al caldo e all’umidità per la scarsa capacità di termoregolazione. In una casa di riposo in Florida sono bastati quattro giorni di guasto all’impianto per provocare malori a 21 pazienti, di cui 5 sono deceduti.

Alcuni ricercatori della National University of Singapore hanno dimostrato che, per i lavori da ufficio che richiedono pensiero creativo e abilità numeriche, la temperatura ideale è di 20°. Già a 24° la produttività scenderebbe del 15%, con un aumento degli errori fino al 25%.

Svantaggi

Un gruppo di ricerca dell’Università Ca’ Foscari Venezia e del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ha calcolato che, in media, l’uso del condizionatore porta a spendere fino al 42% in più per l’energia elettrica: un impatto piuttosto consistente sul portafogli, ma anche sull’ambiente.

Virus, batteri, polveri e muffe possono accumularsi nei filtri del condizionatore, venendo così propagati in tutto l’ambiente e causando le patologie sopra menzionate. È importante perciò una manutenzione accurata dei dispositivi, almeno una volta l’anno.

Oltre a raffrescare, i condizionatori sono progettati per deumidificare gli ambienti. Questo comporta però la disidratazione delle mucose degli occhi, che vengono chiusi con minor frequenza da chi lavora davanti a uno schermo.

Ultima nota negativa da evidenziare: i condizionatori sono stati i maggiori responsabili del famoso “buco dell’ozono”. I gas refrigeranti (CFC, HCFC) utilizzati nei primi modelli hanno provocato l’assottigliamento dell’ozonosfera, perché reagivano con gli atomi di ossigeno. Altri gas, come il HFC, sono gas serra e quindi contribuiscono al riscaldamento globale.

Se devi scegliere un apparecchio nuovo, punta sulla classe A+ o, ancora meglio, A++ e A+++: tra una classe e l’altra i consumi possono variare fino al 30%. Per quanto riguarda il gas refrigerante, ricorda che l’R32 inquina di un terzo in meno rispetto al R410A.

Chi ne usufruisce

Il progetto ERC Energya, portato avanti dal gruppo di studi sopra citato (Cà Foscari e Centro Euro-Mediterraneo) ha rilevato delle interessanti differenziazioni nell’utilizzo di aria condizionata.

Sul piano geografico la Cina è in testa, con 41 milioni di condizionatori nelle case private, seguita da 16 milioni Sembra che la presenza di minori in casa induca ad adottare di più i condizionatori, ma famiglie con maggior consapevolezza sulle tematiche ambientali tendono ad utilizzarli molto meno.

I ristoranti domestici

Nato all’estero alla fine degli anni ’90 e arrivato in Italia da poco più di dieci anni, il fenomeno dell’home restaurant sta riscuotendo un successo mondiale, nonostante i diversi ostacoli che continuano a presentarsi. 

Come funziona

Chi aderisce a questa particolare attività ospita nella propria abitazione un numero limitato di persone, in base allo spazio disponibile, cucinando solitamente piatti tipici del territorio in cui si vive, dietro un corrispettivo economico. 

In sostanza si tratta di trasformare la casa in un vero e proprio ristorante. 

Basta iscriversi ad una piattaforma, tramite la quale i clienti riescono a prenotare. La più famosa in Italia si chiama “Gnammo” ma ne stanno nascendo altre anche a livello locale; a Roma ad esempio è attiva da qualche anno “Ceneromane”.

È evidente che le spese di gestione di una simile attività sono assai ridotte rispetto a quelle di un ristorante tradizionale. Proprio per questo diversi ristoratori si sono scagliati contro gli home restaurant, richiedendo a gran voce una specifica normativa che regolasse quella che loro considerano una concorrenza sleale. 

In Italia nel 2015 si stimavano più di 7000 “cuochi domestici”, con un fatturato totale di circa 7 milioni di euro. Cerchiamo di capire meglio cosa spinge le persone a preferire un’esperienza di questo tipo rispetto al tradizionale ristorante. 

Perché ha successo 

I ristoranti domestici sono attivi principalmente nelle grandi città, mete molto gettonate per i turisti, come Roma, Milano, Torino e Firenze. Sono infatti gli stranieri i più inclini ad una cena “fatta in casa” nel vero senso della parola. 

“I turisti sono sempre curiosi di vedere come sono le case dei romani e di sapere quello che cucinano. Vogliono anche un momento di immersione nella vita quotidiana, per questo spesso passiamo una parte della serata a raccontare qualche aneddoto meno conosciuto sulla città” racconta una donna proprietaria di una home restaurant nella capitale. 

Chiaramente la qualità del cibo è un aspetto fondamentale, ma la si può trovare facilmente nelle centinaia di migliaia di ristoranti del nostro Paese. È la curiosità di conoscere la cultura e lo stile di vita quotidiano di chi vive nelle affascinanti città d’arte a fare la differenza nella scelta. 

“Anche per noi padroni di casa è un momento interessante dal punto di vista culturale: le serate scorrono sempre in maniera piacevolissima” afferma un’altra gestrice. 

Il successo dell’attività dipende quasi completamente dalla capacità di coinvolgere gli ospiti, di essere accoglienti e disponibili a rispondere a tutte le curiosità, proponendo un’esperienza che va oltre l’aspetto culinario. C’è chi racconta ad esempio di far entrare i clienti in cucina, spiegando i metodi di preparazione dei piatti e facendosi aiutare nel servizio, in modo da creare un ambiente familiare. 

Le normative

Come abbiamo accennato, anche se le caratteristiche generali si discostano da quelle di un tradizionale ristorante, le home restaurant vengono considerate delle forme “mascherate” di ristorazione, perciò si è reso necessario un intervento legislativo che regolasse, da tutti i punti di vista, tali attività commerciali. 

Nel 2016 la Commissione europea esortava gli Stati membri a incentivare le forme di economia collettiva, viste come un’opportunità per partecipare alla crescita economica dell’intera comunità. 

In Italia è stata proposta una legge, approvata alla Camera nel 2017, ma che ancora oggi è rimasta arenata in attesa dell’approvazione in Senato. 

L’attività non deve essere continuativa e abituale ma deve essere saltuaria. Gli alimenti messi in tavola e adottati in cucina dovranno provenire da prodotti a Km 0. I coperti messi a disposizione non possono superare 500 ospiti all’anno. Gli introiti pervenuti non devono superare i 5.000 euro annui. Occorrerà prenotarsi all’evento obbligatoriamente tramite piattaforma online. Anche Il pagamento deve essere online, tramite apposita piattaforma. Bisogna possedere le competenze “Haccp” per la manipolazione degli alimenti, tramite certificato rilasciato da un ente riconosciuto che ne attesti il possesso. Un Home restaurant non può coesistere con b&b, affitta camere o con qualsiasi altra attività ricettiva che prevede ospitalità e pernottamenti sotto i 30 giorni. Bisogna comunicare al Comune di residenza l’inizio dell’attività. Vige l’obbligo di stipula di assicurazione per copertura dei rischi e per la responsabilità civile verso terzi.

Tutte queste limitazioni fanno parte della proposta di legge, che è poi rimasta bloccata a causa dell’intervento del Garante per la Concorrenza. Sono stati individuati diversi punti non giustificati. 

Ad esempio i limiti di guadagno vanno contro i principi di libertà economica sanciti dalla Costituzione. O ancora l’obbligo di utilizzo delle piattaforme online sia per le prenotazioni che per i pagamenti scoraggia la partecipazione di chi è meno avvezzo all’uso di sistemi digitali. 

Ci si trova perciò ancora in una fase di stallo. 

“Oltre alle tasse, ho dovuto sottostare a tutta una serie di norme costosissime, dall’assunzione dei dipendenti, agli spogliatoi, ai dispositivi anti barriere architettoniche, passando per estintori e canne fumarie. La sharing economy va normata, non può consentire ai furbi di fare il bello e cattivo tempo” questo il punto di vista di Mirko Derosa, giovane ristoratore milanese. 

“Le associazioni di categoria non hanno realmente compreso quanto l’home restaurant sia lontano dall’esperienza del ristorante e sia non avversario ma strumento di sviluppo del settore. Ponendo limiti di fatturato, la legge rischia di andare contro lo sviluppo, contro i suggerimenti della Comunità Europea, a favore di qualcuno” afferma invece con decisione Cristiano Rigon, fondatore e Ceo di “Gnammo”. 

La curiosità dalla Crusca 

Un’ultima curiosità giunge dall’Accademia della Crusca, che ha bacchettato il Parlamento in merito alla terminologia utilizzata nella proposta di legge sugli home restaurant

È stato dichiarato: “È sorprendente che per definire tale attività il legislatore italiano debba ricorrere all’anglismo ‘home restaurant’, quasi che l’arte culinaria casalinga del nostro Paese abbia origini oltremanica e la lingua italiana non disponga di un termine per designare ciò che si potrebbe senz’altro denominare ‘ristorante domestico’. Questo termine risulta non solo immediatamente comprensibile per tutti, ma riunisce semanticamente tutti gli elementi della definizione che il testo di legge fornisce dell’attività in questione.” 

Insomma, il tema di una cucina fatta e servita in casa, in favore della socializzazione, ha generato un gran numero di dibattiti, talvolta anche accesi. Fatto sta che nella nostra penisola ci sono sempre più persone che si dedicano ai fornelli nelle proprie abitazioni, portando in alto la cultura culinaria e inclusiva italiana. 

Da dove viene il sale

In passato era chiamato “oro bianco”, tanto era ritenuto prezioso: era difficile ricavarlo e veniva contrabbandato e usato come merce di scambio. Chi ha un po’ di sale in zucca, avrà anche sentito dire che in tempi non proprio recenti si combattevano delle guerre: le guerre del sale.

Oggi siamo molto fortunati, perché disponiamo abbondantemente del pregiato minerale.

Da dove arriva?

Il sale viene dal mare, presente e passato: oltre a ricavarlo dalle saline, infatti, viene estratto da ciò che resta di antichi bacini di acqua salata.

Le saline

Le saline sono dei siti artificiali composti da diverse vasche comunicanti, che attraverso delle pompe vengono riempite di acqua marina.

Per estrarre cloruro di sodio (NaCl), il nostro sale da cucina, viene sfruttato il calore generato dall’energia solare. Negli ultimi anni tuttavia, per accelerare i processi, si utilizza anche una piccola percentuale di energia elettrica.

L’acqua di mare viene fatta entrare nelle prime vasche dove il calore solare comincia a farla evaporare. Le fasi successive prevedono il passaggio da una vasca all’altra, con aumento costante della densità: raggiunto l’1.13 g/mL , il primo a depositarsi è il solfato di calcio.

La soluzione viene trasferita quindi negli ultimi contenitori, detti salanti, dove, raggiunta la densità di 1.21 g/mL, inizia la precipitazione di cloruro di sodio molto puro per uso alimentare. Le vasche salanti assumono colore rosso per la comparsa dell’alga “Dunialella” salina, che vive solo nelle soluzioni saline concentrate. È lei, con la sua suggestiva presenza, ad avvertire i lavoratori che il sale è pronto per essere raccolto.

Inizia poi la delicata operazione dell’estrazione del sale dal fondo delle vasche. Il cloruro di sodio deve essere raccolto quando i suoi cristalli hanno tutti la stessa dimensione di circa un centimetro; dopo l’estrazione verrà lavato e purificato, in modo da ottenere NaCl al 99.99%.

La raccolta di salgemma a secco

Il salgemma, in gergo tecnico “halite”, è il sale lasciato dall’evaporazione delle lagune dei mari di milioni di anni fa. Nelle regioni desertiche si può trovare in superficie, mentre negli altri casi sarà depositato nel sottosuolo, richiedendo quindi l’utilizzo di escavatori e altri macchinari per essere estratto in grossi pezzi.

Seguendo il metodo più innovativo, i cristalli di sale impuri, trasportati su un nastro rivestito di resina vinilica, vengono sottoposti all’azione di raggi infrarossi. Rispetto al salgemma, le impurità sono più sensibili a queste radiazioni e si riscaldano più velocemente, rammollendo la resina e rimanendovi appiccicate. A questo punto è possibile separare il cloruro di sodio.

L’estrazione sotto forma di salamoia

Un altro modo di estrarre il sale dal sottosuolo è solubilizzarlo in acqua e farlo risalire in superficie.

Nei fori di trivellazione vengono inseriti 3 tubi concentrici: quello intermedio immette acqua nel giacimento, sciogliendo il sale. Quello centrale, il più stretto, riporta in superficie la salamoia formatasi e quello più esterno convoglia l’azoto sotto pressione, per regolare la velocità di risalita della soluzione.

La salamoia grezza contiene, oltre a 310 g di sale puro, anche 6–8 g di sali di calcio e magnesio per litro. I sali secondari (calcio, magnesio) devono essere eliminati per isolare l’NaCl.

Il processo che trasforma la salamoia grezza in sale da cucina inizia con l’addolcimento. Si ottiene tramite l’aggiunta di calce viva, soda e anidride carbonica, attivando dei processi chimici che permettono di isolare le sostanze di scarto, come i sali sopra citati, fanghi e gesso.

La salamoia purificata viene immessa all’interno di specifici evaporatori. Al raggiungimento di 140 gradi, il sale si cristallizza e si raccoglie sotto forma di massa umida all’estremità inferiore dell’evaporatore.

L’ultima fase è detta essiccazione: la massa umida raccolta dal fondo dell’evaporatore viene inserita in delle centrifughe ottenendo una quasi totale separazione di acqua e sale: rimarrà solo il 2% di acqua sotto forma di umidità.

Il sale ottenuto raggiunge l’essiccatoio a letto fluido: un flusso d’aria calda farà evaporare gli utili residui di acqua, lasciandone solo pochi millilitri per 100 kg.

Sale rosa, sale viola, sale nero

Negli ultimi anni vanno sempre più di moda i sali “colorati”: il sale rosa, rosso, nero, viola. A tavola fanno indubbiamente bella figura, ma non hanno le particolari proprietà curative o benefiche spesso millantante da chi li vende a prezzi folli. A conferire le colorazioni così particolari, infatti, è semplicemente la presenza (minima) di altre sostanze:

  • ossidi di ferro nel caso del sale rosa o rosso
  • solfuri di ferro nel caso del sale viola
  • carbone vegetale aggiunto nel sale nero

Per quanto il ferro sia un micronutriente fondamentale della dieta, assumerlo attraverso il sale non è la migliore delle idee: per ottenerne un apporto significativo dovremmo mangiare il sale rosa a cucchiaiate, il che non sarebbe il massimo per l’organismo.

Un discorso a parte va fatto per lo iodio aggiunto nel sale da cucina, ma di questo parleremo più avanti.

Non giocare col fuoco

È un attimo, un momento di distrazione tra le mille faccende quotidiane. Troppa fretta nel mettere via un ferro da stiro, un movimento distratto in cucina o un getto troppo caldo dal rubinetto.

La scottatura è uno degli incidenti domestici più frequenti e, in base a quanto tempo ci mettiamo ad avvertire il dolore e quindi a fare il balzo all’indietro, anche una delle più fastidiose. Ne avrete sentite di tutti i colori: “Fidati di me, metti l’olio, il sale, la patata, la banana, la cipolla, le ortiche.” Bene, non fidatevi.

L’ustione

L’ustione è una lesione cutanea che può essere causata dal contatto con una fonte di elevato calore, radiazioni solari, agenti chimici (come acido muriatico) o corrente elettrica.

Può essere di I grado quando coinvolge solo uno strato superficiale della pelle, l’epidermide; di II grado se coinvolge l’epidermide e lo strato immediatamente sottostante, il derma, e di III grado se coinvolge tutti gli strati della cute e in casi ancora più gravi anche alcuni sottocutanei.

Oltre alla profondità, per capire la gravità di una scottatura bisogna tenere in considerazione anche le parti del corpo interessate – viso e parti intime richiedono un’attenzione particolare – e l’estensione: se viene coinvolto più del 20% del corpo, si rientra in quadro clinico denominato malattia da ustione.

Se l’ustione è lieve

Abbiamo fornito un quadro generale, ma nel caso della pentola, della moka o di altri piccoli incidenti di questo tipo che si verificano frequentemente in casa si rientra in una situazione poco grave: profondità ridotta, estensione minima e parti del corpo meno sensibili (spesso le mani).

Bisogna prima di tutto riportare la zona ustionata a una temperatura accettabile, facendo scorrere acqua fredda (circa 10 gradi) per una decina di minuti; è ideale puntare il getto a 10 centimetri dal punto dell’ustione (non a caso si chiama regola del 10-10-10). È poi importante tenere la ferita pulita, coprendola magari con una garza sterile o un fazzoletto pulito.

I rimedi della nonna, come l’applicazione di patate, albume o ghiaccio, non sono efficaci, anzi: rischiano di rallentare il processo di guarigione, aumentando il pericolo di infezione.Potrebbero formarsi delle bolle d’acqua (vesciche) sulla zona interessata: rappresentano la difesa della pelle verso eventuali agenti esterni che causerebbero infezioni e non vanno scoppiate. Poche e semplici indicazioni, nel giro di qualche giorno sarà tutto scomparso, potrebbe al massimo rimanere una piccola cicatrice.

Se l’ustione è grave

Diverso è il discorso per i casi di ustione grave. Può succedere per esempio durante una grigliata, quando si fa l’errore (purtroppo comune) di utilizzare sostanze alcoliche per ravvivare il fuoco. In quei casi i rischi sono alti: i vestiti possono prendere fuoco e la fiamma può arrivare fino al viso. Allontanare immediatamente la persona o la parte colpita dalla fonte di calore per interrompere il processo ustionante è la prima azione da compiere. Dopodiché è importante rimuovere gli indumenti e qualunque genere di accessorio, gioielleria compresa, che si trovi intorno all’area di cute ustionata, ma non tentare di staccare alcun indumento o sua parte attaccato alla lesione. Se l’ustione interessa il viso o gli occhievitare che la persona colpita si sdrai, ma fare in modo che resti seduta. Questo aiuterà a ridurre il gonfiore.

Ah, chiaramente mentre si fa tutto ciò, deve esserci qualcuno che avverta il pronto intervento; se non c’è nessuno, fallo tu!

Il dolore non dà alcuna indicazione sulla gravità dell’ustione, anzi: quelle più gravi causano la distruzione dei recettori nervosi della pelle, perciò non si avvertirà dolore, ma la pelle rimasta assumerà un colore spaventoso, dal pallido, al marrone o nero; al tatto risulterà indurita, ruvida e secca. 

Conseguenze

Semplice, piccole ustioni, piccole conseguenze; grandi ustioni, grandi conseguenze.

Abbiamo già accennato ai tempi di guarigione delle lievi scottature.

Le più gravi invece possono richiedere mesi per guarire completamente. Quasi sicuramente si presenteranno delle cicatrici permanenti e vistose, che andranno tenute sempre al riparo dalle radiazioni solari.

Ritorniamo alle scale: le chiavi le hai trovate, la pentola è sul fuoco e la pasta è cotta: prendere le presine o uno strofinaccio ti costerà solo un paio di secondi. Fattibile, no?

Giornata mondiale della Pasta

“Mangia maccheroni” dicevano, etichettandoci come quei fannulloni che non fanno altro che mangiare pasta. A quanto pare i “macaroni” (per dirlo all’americana) piacevano già all’epoca, ma l’invidia porta a dire il contrario di ciò che si pensa. L’Italia è ancora leader mondiale nella produzione di pasta con 3.4 milioni di tonnellate annue, di cui il 58% finisce nei mercati esteri. Buoni i maccheroni, vero?

Celebriamo oggi il ventiduesimo anniversario del World Pasta Day, una manifestazione ideata e curata daUnione Italiana FoodeIPO (International Pasta Organization).

Breve storia e curiosità

Torniamo per un attimo con i piedi per terra: la pasta è nata in Italia, è vero, precisamente in Sicilia, ma da un popolo dominatore dell’isola all’epoca: gli arabi. Dalla Sicilia si è poi diffusa in tutta la Penisola passando prima di tutto per le altre zone di dominazione araba, per poi evolversi secolo dopo secolo fino a diventare uno dei prodotti più consumati al mondo.

La leggenda di Marco Polo: ora possiamo tornare all’attacco. Circola questa convinzione che la pasta sarebbe arrivata in Italia grazie a Marco Polo, al suo rientro dalla Cina dove aveva conosciuto gli spaghetti cinesi. Risposta: Verba volant, scripta manent. Il 2 febbraio 1279 il notaio genovese Ugolino Scarpa, nell’inventario dei beni lasciati dal milite Ponzio Bastone, registrava un “barisella plena de macaronis” (Una cesta piena di maccheroni). Marco Polo fece ritorno dall’Asia soltanto 16 anni più tardi, nel 1295.

Il caso Gragnano: “Ogni ‘mpastata deve essere al massimo di 50-60 chilogrammi. L’impasto deve essere trammiato (lavorato) nella gramola, mossa da due lavorieri gramolisti con una stanga a forma di mestolo. Quando dietro parere e assaggio dello ‘mpastatore l’impasto e bene amalgamato, viene immesso nello ‘ngiegno, l’arnese formaso da grosse assi di quercia (il torchio)”. Ecco a voi il testo Sacro dei pastai di Gragnano, un paese a pochi passi dalla costiera amalfitana. Il manuale è stato ritrovato recentemente e risale al 1500: una testimonianza della tradizione secolare del paesino campano. Oggi a Gragnano si producono 180mila tonnellate all’anno di pasta, con più di mille addetti impegnati nella lavorazione.

I futuristi capivano poco di futuro: con un considerevole balzo in avanti nella storia, arriviamo ai primi anni del Novecento, quando iniziano a svilupparsi le idee del Futurismo. Nel “manifesto della cucina futurista” Filippo Tommaso Marinetti scrisse a proposito dell’alimento più amato dagli italiani: “È un simbolo passatista di pesantezza. Gli italiani la portano come palla o rudere nello stomaco, come ergastolani o archeologi”. La risposta più concreta ai futuristi la daremo più avanti parlando della scorsa edizione del World Pasta Day, per il momento ci limitiamo a dire che “passatismo” non è esattamente il termine da affiancare alla pasta.

Il world pasta Day

Una giornata per celebrare il prodotto simbolo della tradizione culinaria italiana, un piatto che negli ultimi quindici anni è cresciuto a dismisura, passando dai 9 milioni di tonnellate prodotti in tutto il mondo a ben 15 milioni.

Il World Pasta Day 2019 può essere la risposta al già citato Manifesto futurista: il tema proposto dagli organizzatori ruotava attorno alla domanda “Come sarà la pasta fra 30 anni?”, a dimostrazione del fatto che la pasta non spinge a guardare al passato, bensì punta al futuro in modo sempre più innovativo.

Dopo un ampio confronto tra istituzioni, ristoratori, chef e “pasta lovers”, sono state tracciate ben 6 tendenze che caratterizzeranno il consumo del prezioso alimento:

  • Io mangio classico: nulla è più classico della pasta al pomodoro (la “pastasciutta”). I più giovani l’hanno già identificata come il piatto del futuro, capace di riunire tutte le culture per la sua semplicità. Abita le tavole mediterranee solo da un paio di secoli, ma secondo gli esperti continuerà a dominare anche nel lontano 2050.
  • Io mangio etico: l’onda green investirà anche la pasta. Si vedranno sempre più condimenti provenienti dall’orto, biologici e amici dell’ambiente. Carbonara, amatriciana e altre famose ricette lasceranno nei prossimi anni spazio a nuovi abbinamenti più sostenibili.
  • Io mangio globale: La versatilità della pasta è la qualità che le ha permesso di entrare nelle diete di tutto il pianeta. La contaminazione tra i “maccheroni” e gli alimenti tipici dei vari popoli sarà sempre più ampia.
  • Io mangio diverso: Oggi abbiamo a disposizione diverse varietà di pasta, che fino a pochi decenni fa non venivano neanche prese in considerazione. Possiamo provare la pasta di ceci, di piselli, di kamut, integrale, di farro; l’elenco è ancora lungo. Bene, secondo gli esperti, si porterà avanti una continua evoluzione, iniziata già in parte in questi anni. Basti pensare al gruppo Barilla, che ha già iniziato a produrre pasta utilizzando la tecnologia 3D.
  • Io mangio semplice: stop alla “pasta come condimento”. Molte persone amano cucinare la pasta insieme a un mix di prodotti, che alla fine sovrastano quello che dovrebbe essere l’alimento principale del piatto. Si tenderà a ridurre, se non a eliminare questa usanza, mirando a piatti più elementari e espressi, che nello stesso tempo risulteranno più salutari.
  • Io mangio consapevole: l’ultima tendenza risulta quasi un appello ai produttori: rendere sempre più accessibili le informazioni su come la pasta viene realizzata. Bisogna rimarcare l’esigenza a collaborare nella prevenzione del pianeta, servendosi di metodi di produzione sempre più sicuri e sostenibili.

Seguendo queste linee guida, gli chef di tutto il mondo che hanno aderito all’iniziativa hanno proposto nei propri ristoranti le ricette più svariate, raccogliendo un notevole successo.Sicuramente le iniziative con protagonista la pasta andranno avanti negli anni, poiché i dati parlano chiaro: il mercato di questo prodotto non ha intenzione di fermarsi, anzi vuole continuare a crescere nonostante la posizione che già occupa nel mondo gastronomico.

Avendo radici storiche così antiche, è difficile individuare un giorno preciso per celebrarne la nascita. Il 25 ottobre proposto dalle grandi istituzioni del settore può essere la giornata in cui, ogni anno, facciamo simbolicamente gli auguri di buon compleanno alla pasta: il prodotto che ci rende fieri e orgogliosi della nostra cultura culinaria.

La regina dell’autunno: la zucca

Le foglie cadono, il cielo si tinge di grigio e i colori intorno a noi perdono vivacità: è arrivato l’autunno. C’è però un alimento che ci restituisce un po’ di calore e voglia di fare festa, grazie al suo sapore dolce e la versatilità che l’ha resa persino icona di una festività anglosassone: torna in tavola la zucca!

Breve storia

La sua nascita si colloca in Messico nel 6000 a.C., stando a un recente ritrovamento di semi di zucca nel Paese sudamericano. Da qui la zucca sarebbe stata esportata nell’America del nord, dove divenne alimento base della dieta degli indigeni.

È uno dei tantissimi cibi importati nel Vecchio Continente da Cristoforo Colombo. Alcune antiche testimonianze la descrivono come “il maiale dei poveri”, poiché poco costosa e nutriente.

Delle sue proprietà parla anche il cuciniere e intellettuale settecentesco Vincenzo Corrado nel libro “Del cibo pitagorico ovvero erbaceo”. Il manuale è sostanzialmente un ricettario in cui le verdure rivestono un ruolo primario per chi voleva seguire un’alimentazione leggera e naturale.

Proprietà dei nutrienti

Leggera, prima di tutto. È composta per circa il 95% di acqua, infatti si stimano circa 18 kcal per 100 grammi di polpa cruda. Anche se il sapore dolce potrebbe trarre in inganno, è un alimento adatto ai diabetici, in quanto povera di zuccheri e ricca di fibre.

È ricca di beta-carotene, una sostanza che l’organismo utilizza per la produzione di vitamina A, utile non solo per favorire l’abbronzatura, ma anche per la salute di pelle, mucose e vista. Questa sostanza ha un notevolepotereantiossidante, che limita la formazione di radicali liberi.

Al suo interno contiene molti altri minerali evitamine, tra cui calcio, potassio, sodio,magnesio, fosforo e vitamine C ed E. Il potassio, ad esempio, aiuta a mantenere un correttoequilibrio idrico dell’organismo e delle mucose, mentre la vitamina C aiuta la guarigione delle ferite, attenua i dolori articolari e può ridurre gli effetti negativi dello stress.

Grazie all’alta concentrazione di acqua e fibre, la zucca aiuta a migliorare il transito intestinale, combatte la stitichezza, riequilibra la flora, ha ottime proprietà diuretiche e contrasta la ritenzione dei liquidi.

È fonte di Omega-3, grassi buoni preziosi per la circolazione e la salute del cervello.

Isemidella zucca apportano numerosibeneficigrazie al loro ricco contenuto di proteine, Omega3, zinco, magnesio e fibre. Contengono cucurbitina, una sostanza che aiuta a proteggere la prostata e a contrastare patologie dell’apparato urinario sia maschile che femminile, prevenendo anche la cistite.

Non si butta niente

Come faccio a scegliere la zucca migliore per le mie ricette? Bastano pochi accorgimenti.

Se è intera, verifica che il picciolo sia integro e ben attaccato; dando dei leggeri colpetti sulla buccia, assicurati che il suono sia sordo. Nel caso di una zucca già tagliata, invece, puoi verificare che la superficie non sia troppo asciutta né troppo matura. I semi, inoltre, devono essere umidi e scivolosi, con il picciolo che deve essere integro e ben attaccato. Rilevatore di freschezza è anche la durezza della polpa al taglio.

Se poi non vuoi limitarti a mangiarla, ecco tre cose che puoi fare con la tua zucca:

Zuppiera: una volta svuotata della polpa, può diventare una scenografica zuppiera per servire gli ospiti. L’apice può fungere da coperchio.

Maschera per il viso: una tazza di polpa finemente tritata, fino a farne una purea, mescolata a mezza tazza di zucchero di canna e a un pizzico di cannella, si trasforma in un gel esfoliante da applicare sul volto e da risciacquare poi con acqua tiepida.

Centrotavola autunnale: basta inserire al suo interno un bicchiere d’acqua con qualche fiore di decorazione.

Conservare la zucca

Una volta tagliata a cubetti e bollita, la zucca può entrare nel tuo freezer e uscirne solo quando sentirai il bisogno di una bella zuppa calda. Da provare in questo caso la vellutata, a cui puoi aggiungere o meno della panna, a seconda di quanto la vuoi sostanziosa.

Sei più tipo da dolci? Allora taglia la zucca a dadini, senza semi, trasferiscila in una pentola unendovi qualche cucchiaio di zucchero. Lascia macerare per almeno 12 ore, quindi unisci al composto cannella, noce moscata, mezzo bicchiere di liquore all’amaretto e il succo di mezzo limone con la sua scorza grattugiata. Cuoci a fuoco moderato e riponila in vasetti accuratamente sanificati. Ecco a te la marmellata di zucca!

Clorofilla fluorescente e buon vino

Come abbiamo già visto, un vigneto è normalmente costituito da “cloni” dello stesso esemplare di vite. Nonostante ciò l’esposizione alla luce, le caratteristiche del terreno e l’umidità possono determinare molte differenze nella crescita delle piante e nel loro rischio di ammalarsi, anche in condizioni di relativa vicinanza.

Una soluzione è continuare a concimare, irrigare e trattare omogeneamente tutto il vigneto, abbondando con i prodotti e determinando sprechi di risorse, inquinamento e una minor qualità del prodotto finale.

L’alternativa verso cui si stanno muovendo sempre più produttori è creare soluzioni ad hoc per ciascuna pianta, risparmiando risorse e guadagnando in produzione. Se un tempo era impensabile aggirarsi con un quaderno per ettari ed ettari di terreno per esaminare ogni foglia, oggi la tecnologia viene in nostro soccorso.

Viticoltura di precisione

La viticoltura 2.0 parte dall’utilizzo di sensori in grado di analizzare la fluorescenza della clorofilla. Questi vengono applicati ad un quad o un trattore che, come uno scanner, attraversa il vigneto mappando i parametri di ogni pianta, permettendoci di stimare il suo fabbisogno di acqua e nutrienti, la quantità di frutti che sta producendo e il loro contenuto di zuccheri.

I dati vengono trasformati in una mappa di prescrizione, che classificherà le viti in base al vigore (alto, medio o basso). Ora entra in gioco la concimatrice a rateo variabile, che apre e chiude il rilascio di concime con l’aiuto della mappa di prescrizione e di un GPS.

Grazie a questo sistema innovativo, i viticoltori riescono a ridurre del 40% l’utilizzo di fertilizzanti, del 10-15% quello di antiparassitari e del 10-15% i consumi di carburante per i trattori.

Anche il momento della vendemmia può variare a seconda dei dati: se l’agricoltore desidera un determinato grado di maturazione per tutti i grappoli, le analisi permetteranno di differenziare il momento della raccolta, restituendo un vino con maggiori garanzie di qualità.

Questo è solo un esempio di come l’innovazione tecnologica, alla quale spesso si guarda con diffidenza, ci possa guidare verso una maggiore sostenibilità e prodotti con standard di gusto e sicurezza sempre più elevati. Quale sarà il prossimo passo?