I ristoranti domestici

Nato all’estero alla fine degli anni ’90 e arrivato in Italia da poco più di dieci anni, il fenomeno dell’home restaurant sta riscuotendo un successo mondiale, nonostante i diversi ostacoli che continuano a presentarsi.

Come funziona

Chi aderisce a questa particolare attività ospita nella propria abitazione un numero limitato di persone, in base allo spazio disponibile, cucinando solitamente piatti tipici del territorio in cui si vive, dietro un corrispettivo economico.

In sostanza si tratta di trasformare la casa in un vero e proprio ristorante.

Basta iscriversi ad una piattaforma, tramite la quale i clienti riescono a prenotare. La più famosa in Italia si chiama “Gnammo” ma ne stanno nascendo altre anche a livello locale; a Roma ad esempio è attiva da qualche anno “Ceneromane”.

È evidente che le spese di gestione di una simile attività sono assai ridotte rispetto a quelle di un ristorante tradizionale. Proprio per questo diversi ristoratori si sono scagliati contro gli home restaurant, richiedendo a gran voce una specifica normativa che regolasse quella che loro considerano una concorrenza sleale.

In Italia nel 2015 si stimavano più di 7000 “cuochi domestici”, con un fatturato totale di circa 7 milioni di euro. Cerchiamo di capire meglio cosa spinge le persone a preferire un’esperienza di questo tipo rispetto al tradizionale ristorante.

Perché ha successo

I ristoranti domestici sono attivi principalmente nelle grandi città, mete molto gettonate per i turisti, come Roma, Milano, Torino e Firenze.Sono infatti gli stranieri i più inclini ad una cena “fatta in casa” nel vero senso della parola.

“I turisti sono sempre curiosi di vedere come sono le case dei romani e di sapere quello che cucinano. Vogliono anche un momento diimmersione nella vita quotidiana, per questo spesso passiamo una parte della serata a raccontare qualche aneddoto meno conosciuto sulla città” racconta una donna proprietaria di una home restaurant nella capitale.

Chiaramente la qualità del cibo è un aspetto fondamentale, ma la si può trovare facilmente nelle centinaia di migliaia di ristoranti del nostro Paese. È la curiosità di conoscere la cultura e lo stile di vita quotidiano di chi vive nelle affascinanti città d’arte a fare la differenza nella scelta.

“Anche per noi padroni di casa è un momento interessante dal punto di vista culturale: le serate scorrono sempre in maniera piacevolissima” afferma un’altra gestrice.

Il successo dell’attività dipende quasi completamente dalla capacità di coinvolgere gli ospiti, di essere accoglienti e disponibili a rispondere a tutte le curiosità, proponendo un’esperienza che va oltre l’aspetto culinario.C’è chi racconta ad esempio di far entrare i clienti in cucina, spiegando i metodi di preparazione dei piatti e facendosi aiutare nel servizio, in modo da creare un ambiente familiare.

Le normative

Come abbiamo accennato, anche se le caratteristiche generali si discostano da quelle di un tradizionale ristorante, le home restaurant vengono considerate delle forme “mascherate” di ristorazione, perciò si è reso necessario un intervento legislativo che regolasse, da tutti i punti di vista, tali attività commerciali.

Nel 2016 la Commissione europea esortava gli Stati membri a incentivare le forme di economia collettiva, viste come un’opportunità per partecipare alla crescita economica dell’intera comunità.

In Italia è stata proposta una legge, approvata alla Camera nel 2017, ma che ancora oggi è rimasta arenata in attesa dell’approvazione in Senato.

L’attività non deve essere continuativa e abituale madeve essere saltuaria. Gli alimenti messi in tavola e adottati in cucina dovranno provenire daprodotti a Km 0. I coperti messi a disposizione non possono superare 500 ospiti all’anno. Gliintroiti pervenutinon devono superare i 5.000 euro annui. Occorrerà prenotarsi all’evento obbligatoriamente tramite piattaforma online. Anche Il pagamento deve essere online,tramite apposita piattaforma. Bisogna possedere le competenze “Haccp” per la manipolazione degli alimenti, tramite certificato rilasciato da un ente riconosciuto che ne attesti il possesso. Un Home restaurant non può coesistere con b&b, affitta camere o con qualsiasi altra attività ricettiva che prevede ospitalità e pernottamenti sotto i 30 giorni. Bisogna comunicare al Comune di residenza l’inizio dell’attività. Vige l’obbligo di stipula diassicurazioneper copertura dei rischi e per la responsabilità civile verso terzi.

Tutte queste limitazioni fanno parte della proposta di legge, che è poi rimasta bloccata a causa dell’intervento del Garante per la Concorrenza. Sono stati individuati diversi punti non giustificati.

Ad esempio i limiti di guadagno vanno contro i principi di libertà economica sanciti dalla Costituzione. O ancora l’obbligo di utilizzo delle piattaforme online sia per le prenotazioni che per i pagamenti scoraggia la partecipazione di chi è meno avvezzo all’uso di sistemi digitali.

Ci si trova perciò ancora in una fase di stallo.

“Oltre alle tasse, ho dovutosottostare a tutta una serie di norme costosissime, dall’assunzionedei dipendenti, agli spogliatoi, ai dispositivi anti barrierearchitettoniche, passando per estintori e canne fumarie. La sharingeconomy va normata, non può consentire ai furbi difare il bello e cattivo tempo” questo il punto di vista di Mirko Derosa, giovane ristoratore milanese.

“Le associazioni di categoria non hanno realmente compreso quanto l’home restaurant sia lontano dall’esperienza del ristorante e sia non avversario ma strumento di sviluppo del settore. Ponendo limiti di fatturato, la legge rischia di andare contro lo sviluppo, contro i suggerimenti della Comunità Europea, a favore di qualcuno” afferma invece con decisione Cristiano Rigon, fondatore e Ceo di “Gnammo”.

La curiosità dalla Crusca

Un’ultima curiosità giunge dall’Accademia della Crusca, che ha bacchettato il Parlamento in merito alla terminologia utilizzata nella proposta di legge sugli home restaurant.

È stato dichiarato: “È sorprendente che per definire tale attività il legislatore italiano debba ricorrere all’anglismo ‘home restaurant’, quasi che l’arte culinaria casalinga del nostro Paese abbia origini oltremanica e la lingua italiana non disponga di un termine per designare ciò che si potrebbe senz’altro denominare ‘ristorante domestico’. Questo termine risulta non solo immediatamente comprensibile per tutti, ma riunisce semanticamente tutti gli elementi della definizione che il testo di legge fornisce dell’attività in questione.”

Insomma, il tema di una cucina fatta e servita in casa, in favore della socializzazione, ha generato un gran numero di dibattiti, talvolta anche accesi. Fatto sta che nella nostra penisola ci sono sempre più persone che si dedicano ai fornelli nelle proprie abitazioni, portando in alto la cultura culinaria e inclusiva italiana.

Due ore nella natura per stare bene

Studi effettuati in passato hanno rilevato gli effetti negativi del vivere in ambienti fortemente urbanizzati: l’aumentare del rischio di sviluppare asma, possibilmente legato alla peggiore qualità dell’aria, ma anche una probabilità maggiore di incorrere in malattie cardiovascolari, obesitàdiabete e disturbi mentali.

Tutti questi studi hanno usato come variabile misurabile la percentuale di verde entro il raggio di un kilometro dall’abitazione.

Una ricerca nuova, pubblicata su Scientific Reports da Mathew White, dell’Università di Exeter, si è concentrata sul tempo passato abitualmente da ciascuno dei partecipanti in contesti naturali, come boschi o campi (escludendo quindi il giardino di casa).

È stato preso in considerazione un campione di 20.000 soggetti, di tutte le fasce d’età, rappresentativo della popolazione del Regno Unito: si è dimostrato che trascorrere due ore settimanali nel verde sono sufficienti per uno stato di benessere soddisfacente, indipendentemente dal fatto che questo tempo sia stato speso in un’unica occasione o in momenti diversi della settimana.

L’effetto raggiunge il suo massimo quando il tempo trascorso a contatto con la natura è tra le due e le tre ore, mentre un ulteriore aumento non sembra portare benefici aggiuntivi.
Voglia di una passeggiata?

Perché fare yoga

Lo yoga è ad oggi una pratica molto diffusa. Si tratta di una vera e propria filosofia di vita che nasce in India ben cinquemila anni fa. Chi la pratica con costanza fa esperienza di una maggiore consapevolezza di sé, di un accrescimento delle proprie emozioni e della forza d’animo e, in generale, di un nuovo benessere fisico ed emotivo.

I benefici

La pratica dello yoga ha numerosi effetti benefici sulla nostra salute.

Tra i principali:

  • Le asana (le figure tipiche dello yoga) possono essere eseguite solo coordinando la respirazione e la propria forza. Questa fusione armoniosa tra respiro e allungamento muscolare aiuta a far fronte allo stress quotidiano: la meditazione e il controllo del respiro, infatti, favoriscono la gestione delle emozioni negative.
  • Attraverso questa disciplina si possono inoltre imparare tecniche utili a chi soffre d’insonnia, aiutando chi non riesce a riposare a rilassarsi prima di andare a letto.
  • Uno dei benefici dello yoga più noti è indubbiamente la scomparsa di dolori legati a una cattiva postura; permette di dire addio a mal di schiena, dolori cervicali ed emicranie.
  • Migliora la salute del sistema cardiovascolare, consentendo un maggiore controllo del battito cardiaco e un conseguente riequilibrio della pressione del sanguigna.
  • Infine, aumenta la flessibilità corporea, rafforza la muscolatura, migliora le capacità sportive necessarie per altre discipline e previene eventuali lesioni muscolari e ossee.

Yoga: tra fitness e meditazione

Lo yoga che pratichiamo oggi nelle nostre palestre è certamente diverso dall’originale disciplina orientale, perché è stato adattato alle esigenze degli occidentali, diversi per mentalità e stile di vita.

In qualità di allenamento fitness, lo yoga permette di lavorare sulla flessibilità e sull’allungamento dei muscoli, tanto che, come dimostrato da uno studio condotto dall’American Council on Exercise Yoga Study, sarebbero necessarie appena otto settimane di pratica costante per aumentare fino al 35% l’elasticità del proprio corpo. Il corpo risulta inoltre generalmente più tonico e l’energia vitale aumentata.

A livello mentale regala una maggiore chiarezza di pensiero, bilancia le emozioni e dissolve lo stress.

Il connubio tra fitness e pratica meditativa ha dato vita a diverse tipologie di yoga: si può scegliere di praticare uno yoga più rilassante e distensivo oppure uno più energico e fisicamente intenso, o infine uno più indicato per riarmonizzare lo spirito.

Inoltre, esiste uno yoga che unisce queste metodologie alla ginnastica posturale, migliorando anche la nostra percezione generale del corpo, combattendo sul nascere cattive abitudini che possono sfociare in problemi più complessi da trattare, come cervicalgie, lombosciatalgie, ecc.

Queste sue caratteristiche peculiari hanno portato lo yoga ad essere incluso tra le attività utili non solo a migliorare la forma fisica, ma anche a supportare il trattamento di alcune patologie mentali: chi pratica yoga infatti è in grado di abbassare autonomamente i propri livelli di ansia, di stress e di altre emozioni negative, riconoscendole, accogliendole e controllandole.

Insomma, lo yoga è una disciplina millenaria che continua a infondere i suoi benefici in persone di tutto il mondo, con lo scopo di armonizzarne il corpo, la mente e lo spirito. Mettendo in contatto l’individuo con se stesso e con gli altri.

Che cos’è la vendemmia tardiva?

Ricordate la vendemmia?La parte di produzione del vino più piacevole e allo stesso tempo faticosa, grazie alla quale i coltivatori condividono esperienze, aneddoti e, soprattutto, la passione per il “nettare di Bacco”.

Tanti celebrano la conclusione di questo fantastico periodo di aggregazione con una grande festa, altri però cercano di dormire mentre gli agricoltori vicini fanno baldoria. Perché?No, non sono dei guastafeste, semplicemente per queste persone il lavoro non è ancora terminato: bisogna portare a termine la vendemmia tardiva.

Per definizione

Si dice “da vendemmia tardiva” il vino ricavato dall’uva lasciata appassire sulla vite dopo l’avvenuta maturazione del frutto. A che scopo?

Seguendo tale procedura si ottiene una maggiore concentrazione degli zuccheri e una conseguente riduzione dell’acidità. In questo modo il sapore risulta decisamente più intenso.

Fungo buono o fungo cattivo?

Siamo sicuri che se un parassita attacca la vite il raccolto andrà perso?

Il presunto disturbatore tipico dell’uva si chiama Botrytis Cinereafungo molto diffuso che colpisce diverse varietà di frutta e verdura, ma la vittima preferita è proprio il frutto “grappoloso”.

Esistono due alternative: se dal parassita si genera la cosiddetta “muffa grigia”, allora i grappoli tenderanno a cadere a terra marcendo. Anche se si riuscisse a recuperarne delle parti, sarebbe meglio non portare avanti il processo di produzione, poiché ne risulterebbe un vino dal sapore estremamente sgradevole.

In condizioni climatiche particolari, caratterizzate da giornate che alternano un clima caldo e secco a momenti, di solito la notte, freschi e umidi, la Botrytis Cinerea produce la sorprendente “muffa nobile”.Le condizioni appena descritte si verificano solo in alcune zone di produzione e soprattutto in specifici periodi dell’anno. Esattamente, il periodo in cui si effettua la vendemmia tardiva, più o meno in questi giorni di novembre. Il risultato? La muffa nobile conferisce al vino caratteristiche olfattive inconfondibili, aumentando allo stesso tempo il contenuto di zuccheri.

Addirittura alcuni produttori raccolgono separatamente solo i grappoli colpiti dal fungo per ricavare i particolari vini “botritizzati”.

In Francia

Il nome originale è “Vendages Tardives”, noi Italiani ci siamo solo presi la briga di tradurre il termine di origine francese. Effettivamente sono stati i cugini d’Oltralpe i primi a sperimentare l’appassimento dell’uva direttamente sulla vite. In Italia era conosciuta la tecnica dell’appassimento per produrre vini passiti, ma veniva applicata in cantina dopo la “normale” raccolta nei periodi di vendemmia.

In Francia la vendemmia tardiva è una faccenda seria, tanto che è autorizzata solo in quattro areeAlsaceAlsace Grand CruJurançon e Gaillac.

Il disciplinare indica anche il tipo di uva da poter sottoporre a Vendages Tardives: in Alsazia (comprendente le prime due aree) abbiamo le uve MuscatGewürztraminerPinot Gris e Riesling; a Gaillac si possono vendemmiare tardivamente le OndencLoin-de-l’OeilMauzac e Muscadelle, mentre a Jurançon la Petit e la Gros Manseng.

La raccolta, infine, avviene in un solo passaggio e non a più riprese per non superare la gradazione alcolica permessa dal regolamento. Puntigliosi, ma estremamente efficienti. (Qui tutte le curiosità sul vino francese).

L’ultima vendemmia in Italia

La Basilicata è una delle pochissime regioni italiane che sembra non aver accusato l’impatto paesaggistico portato dalle “costruzioni intensive” del post rivoluzione industriale. Chiaramente non si può generalizzare, alcuni paesaggi sono stati alterati, ma la maggior parte della regione compresa tra Campania e Puglia è caratterizzata da luoghi incontaminati e viste mozzafiato.

È il caso del Vulture, vulcano spento situato nella parte nordAlle pendici del monte viene coltivato uno dei vitigni più famosi del meridione: l’aglianico. I Romani lo portarono in queste zone per migliorare la qualità del Falerno, il vino più diffuso all’epoca.

La cantina Re Manfredi, con sede a Venosa (la città natale del poeta Orazio), sfrutta la mineralità del terreno conferita dalla lava vulcanica, per produrre il proprio Aglianico rosso del Vulture. Si parla del vino ottenuto dall’ultima vendemmia italiana: i produttori raccolgono uva in autunno inoltrato, indicativamente nella prima decade di novembre.

Il vigneto aglianico ha infatti bisogno di tempo per esprimere la sua vera natura, ed è in Basilicata che trova le condizioni climatiche migliori per maturare alla perfezione. Le belle giornate luminose e le escursioni termiche durante la notte assicurano intensità di colore, ottima struttura e decisi sentori aromatici.

Si dice che l’attesa aumenta il desideri, ma in questo caso si direbbe che aumenta anche la qualità.

Riutilizzare il vino avanzato

Il modo migliore per non sprecare il vino è sicuramente non avanzarlo, ma quando capita, ecco cosa fare per riutilizzare il vino rimasto!

Bianco o rosso, fermo o frizzante, anche se il vino non è stato conservato correttamente o sono passati troppi giorni dall’apertura, potresti comunque usarlo in cucina e in casa, senza gettarlo via.

Nel caso in cui sia trascorso poco tempo, il vino rosso avanzato può essere usato per una semplicissima ma saporita salsa che esalti il gusto di una fettina di carne o di un mix di verdure cotte. Ti basterà mettere in un pentolino un bicchiere del vino rimasto insieme a due cucchiai di zucchero e lasciare che si rapprenda a fuoco medio. Versa poi la salsa ottenuta sul piatto prima di servirlo: semplicemente deliziosa!

Con lo stesso vino rosso e pochi accorgimenti è possibile tingere tessuti in lino o cotone, versandolo in una pentola di acqua bollente e ricordando di aggiungere due/tre cucchiai di sale grosso per fissare il colore sui capi in ammollo.

Infine, puoi scegliere di fare un regalo alla pelle e sfruttare i polifenoli contenuti nel vino per un tonico fai da te. Imbevi un batuffolo di cotone del vino rimasto e picchiettalo sul viso per un effetto ringiovanente.

Il vino bianco, invece, può essere di grande aiuto in cucina per lavare frutta e verdura. Diluito con acqua e messo in uno spruzzino può diventare un ottimo sgrassatore casalingo per rimuovere macchie da vetri e altre superfici, specie se il vino usato è uno spumante (con una buona quantità di anidride carbonica). Il vino bianco si può anche congelare all’interno delle formine per il ghiaccio, e utilizzarlo all’occorrenza per insaporire sughi o sfumare risotti.

Oppure creare delle gelatine con cui arricchire l’impasto dei tuoi dolci!

Certo, sarebbe meglio non avanzare il vino aperto… Ma qualora capitasse, ora sai come non sprecarlo!

Non tutto il male vien per… Cuocere!

Proprio il panettone, uno dei dolci simbolo delle feste, sembra sia frutto di un guaio culinario. In questo articolo potrai scoprire altre quattro ricette che nascono da vere e proprie sviste in cucina. 

Ganache al cioccolato 

Una delle preparazioni basilari della pasticceria è nata per errore, quello commesso da un giovane apprendista francese. La leggenda narra che, per sbaglio, il giovane fece cadere un liquido caldo (secondo alcuni era latte, secondo altri panna) sopra il cioccolato. Il suo maestro lo rimproverò con voce tonante chiamandolo ganache, ossia pasticcione. Poi però si accorse che quello era l’errore più delizioso mai commesso prima!

Crêpe suzette

Gli apprendisti francesi ne combinavano di tutti i colori e…per fortuna! Anche la famosa crêpe suzette sembra essere opera di un giovane, un certo Henri Carpentier, al quale il re Edoardo VII in persona (al tempo ancora principe di Galles) ordinò una crêpe. In preda all’emozione, l’apprendista versò troppo liquore nella salsa e questa prese fuoco. Ma non era bene far aspettare sua (futura) maestà, così il piatto venne servito ugualmente. La ricetta colpì il Principe a tal punto da chiedere di battezzare la crêpe con il nome dell’unica ospite femminile al tavolo, una donna di nome Suzette!

Risotto alla Milanese

No, non è uno scherzo! Dopo il panettone, a Milano nasce per errore anche il celebre risotto allo zafferano, detto anche “alla milanese”. Secondo un manoscritto, tra i maestri vetrai fiamminghi che lavoravano al Duomo c’erano anche un certo Valerio di Fiandra e il suo assistente, soprannominato “Zafferano” perché aggiungeva la spezia a tutte le pietanze. Verso la fine del ‘500, il giorno delle nozze della figlia di Valerio di Fiandra, Zafferano si accordò con il cuoco per aggiungere per gioco un po’ della sua amata spezia al risotto, allora servito solo con il burro. La sorpresa degli invitati fu tanta ma il sapore era ottimo e il colore, simile a quello dell’oro, rese il risotto un simbolo di prosperità e ricchezza.

Torta caprese

Siamo nella Capri degli anni ‘30 e tre gangster mandati da Al Capone entrano nella pasticceria di Carmine di Fiore per fare acquisti. Il pasticciere, ansioso o semplicemente distratto, si dimentica di aggiungere la farina all’impasto della torta di mandorle richiesta dai malavitosi. Quello che servì loro è tutt’ora un dolce successo: una torta così buona che non si può rifiutare!

5 enormi benefici dello sport

Scopriamo 5 ottimi motivi per muoverci di più!

Il tono dell’umore

La concentrazione di endorfine nel sangue aumenta di circa 5 volte dopo l’attività fisica, regalandoci una sensazione di benessere e sollievo da ansia e stress.

L’autostima

Migliorano le nostre performance sportive e, contemporaneamente, il nostro fisico. Questo ci rende più sicuri e spigliati anche nei rapporti con gli altri!

L’invecchiamento

L’allenamento regolare porta il fisico ad alzare le difese contro gli effetti dei radicali liberi, rallentando la comparsa dei segni del tempo. In più una muscolatura ben formata migliora la postura, prevenendo mal di schiena, indolenzimento al collo e strappi muscolari.

La salute delle ossa

Gli sport che richiedono la posizione eretta e il carico del peso sulla pianta del piede stimolano la deposizione del calcio nelle ossa. Questo si traduce in uno scheletro più forte e un minor rischio di osteoporosi, sia nei giovani che negli anziani. Ma non solo: l’aumento della massa muscolare protegge le ossa dai traumi, poiché i muscoli creano uno strato più spesso e resistente intorno alle articolazioni.

Prevenzione di malattie croniche

È ampiamente dimostrato che praticare attività fisica migliora la salute cardiovascolare e riduce il rischio di sviluppare altre malattie croniche come il diabete di tipo 2, la depressione e alcuni tipi di cancro (in particolare della mammella e del colon). Ma non solo: lo sport protegge anche il sistema nervoso dalla progressione di malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson.

Iniziare a fare attività fisica, a qualsiasi età, è un investimento sulla nostra qualità di vita presente e futura. Sai già che sport scegliere?

Meno sprechi, più sicurezza

Lo spreco e la sicurezza alimentare sono temi sempre attuali nella grande e piccola distribuzione.Ma il problema non è solamente una questione da affrontare a livello globale, ma anche nel quotidiano di ogni famiglia. Cerchiamo allora di stilare un piccolo vademecum su come conservare, riscaldare e consumare il cibo avanzato senza rischiare pericolose intossicazioni alimentari. Prima di tutto, vanno rispettate le accortezze igieniche di base che si tengono con il cibo fresco: pulizia delle mani, degli utensili e del piano di lavoro. Ma qui vi diamo altri consigli meno scontati per consumare gli avanzi in sicurezza:

  • Riporre in frigorifero il cibo cotto solo quando ha raggiunto la temperatura ambiente. Se la stagione non è troppo calda, può restare fuori frigo fino a quattro ore;
  • conservare i diversi alimenti coperti e il più possibile distanziati tra loro, per far circolare aria e freddo;
  • riscaldare gli avanzi in maniera omogenea, senza lasciare parti fredde: attenzione quindi a mescolarli bene se si utilizza il forno a microonde, che non scalda in maniera uniforme. Se il cibo viene ripassato in una pentola, invece, è consigliabile non aumentare la temperatura troppo rapidamente. La temperatura interna del cibo deve arrivare a 75 gradi;
  • non mescolare gli avanzi ad alimenti crudi o non lavati e separare sempre la carne dalle verdure;
  • riporre in freezer tutto quello che non viene consumato entro i tre giorni;
  • scongelare gli alimenti in frigo e non a temperatura ambiente;
  • non congelare il cibo che è stato precedentemente scongelato, a meno che questo non venga proprio cucinato (e non solo riscaldato). In questo caso è possibile, poi, congelarlo nuovamente;
  • è possibile (ma non preferibile) riscaldare più di una volta gli avanzi, ma sempre in maniera accurata.

Con queste piccole accortezze potete evitare la proliferazione dei batteri, e potete consumare gli avanzi in tranquillità, evitando così di buttare il cibo avanzato.

5 consigli per usare meno lo smartphone

Lo smartphone è uno strumento straordinario, che ci permette di fare un’infinità di cose e di essere connessi come mai prima nella storia dell’umanità.

Come tutto però, ha anche dei lati negativi: uno di questi è che crea dipendenza. Secondo una ricerca condotta in GranBretagna, il 53% di chi possiedeun cellulare manifesta stati d’ansia quando non può usarlo (acausa della batteria scarica, del credito inrosso oppure in assenzadella copertura di rete). A soffrire di questa nuova forma di psicopatologiasono per il 58% uomini e per il 42% donne.

Sei ragazzi su dieci, tra i 18 e i 29 anni, non vanno aletto senza il proprio dispositivo. Inoltre, c’è chi parla di “ringxiety” (termine che nasce dalla fusione di “ring” e “anxiety”), cioè il disturbo di cui soffre chi crede di avvertire, con grande frequenza, notifiche in realtà inesistenti provenienti dal proprio cellulare.
Insomma, la dipendenza da smartphone è un problema reale: ecco 5 consigli per combatterla.

  1. Nascondere le app più utilizzate: spesso ci troviamo ad accedere a determinate applicazioni soltanto perché ci troviamo le icone in home. Spostiamo quindi queste app nelle schermate successive o interne.
  2. Limitare i social network: questi occupano gran parte delle ore che trascorriamo al telefono. Un grande aiuto è disattivare le notifiche. Vivremo lo stesso, anche se non saremo informati immediatamente di un nuovo “like” o commento e anzi: molto probabilmente vivremo meglio.
  3. Lo sfondo: un altro trucchetto è impostare come immagine di sfondo la scritta “perché mi stai utilizzando?”. Ogni volta che prenderemo in mano lo smartphone, saremo invitati a riflettere sul perché lo stiamo facendo.
  4. Creare fasce orarie libere dal cellulare: per almeno due ore al giorno o nei momenti in cui vogliamo restare focalizzati, spegniamo il dispositivo e restiamo concentrati su ciò che abbiamo di fronte. Come descritto nel libro“Sleeping with your smartphone”, l’autrice Leslie Perlow e il suo gruppo di ricerca hanno trovato che prendersi delle pause prefissate dal proprio cellulare dava come effetti un aumento di efficienza, maggior soddisfazione sul lavoro e miglior equilibrio lavoro-vita.
  5. Nascondere il telefono! Non serve chiuderlo in un cassetto per non abusarne: quando lavoriamo è sufficiente, ad esempio, metterlo dietro il laptop in modalità silenziosa. Il solo fatto di non averlo in vista ci farà passare la voglia di consultarlo. Allo stesso tempo è bene allontanare lo smartphone dalla camera da letto: guardare uno schermo come ultima cosa prima di addormentarci non fa solo male agli occhi e al sonno, ma può renderci nervosi e ritardare il momento in cui ci addormenteremo. Quando andiamo a dormire lasciamo il cellulare (magari incarica) in un’altra stanza. Semplice ed efficace.

Spegni la luce!

Le nostre notti sono sempre più sporche di luce: è l’effetto dell’inquinamento luminoso, dovuto all’illuminazione interna ed esterna delle abitazioni, degli uffici, delle industrie, dei cartelloni pubblicitari, della strada e delle strutture sportive. 

La stragrande maggioranza di questa luce è eccessiva, inefficiente, mal indirizzata e, spesso, inutile.
E i suoi effetti sono preoccupanti

Salute

Ci siamo evoluti seguendo i cicli del giorno e della notte: la presenza massiccia di luce durante le ore notturne intacca il nostro naturale ritmo biologico. Il rischio più evidente è la riduzione della produzione di melatonina, che causa disturbi del sonno. Inoltre, gli studi dimostrano che l’illuminazione notturna ha una serie di effetti collaterali negativi per la salute, tra i quali l’aumento del rischio di depressione, obesità e diabete. 

Ecosistema

Come noi, anche il resto delle forme di vita sulla terra hanno un proprio orologio circadiano, codificato nel DNA. Per gli animali, se la notte diventa giorno si scombina l’equilibrio tra predatori e prede, dei rituali di accoppiamento e di migrazione, solo per dirne alcuni.
Le tartarughe marine, ad esempio, vengono spesso distratte dalla luce alla nascita, quando l’uovo si schiude, e restano esposte ai predatori; molti insetti ne sono attratti al punto da compromettere processi di alimentazione e impollinazione, con effetti negativi a salita su tutta la catena alimentare. 

Spreco di energia e di denaro

L’International Dark Sky Association calcola che ogni anno, soltanto negli Stati Uniti, si sprecano 3,3 miliardi di dollari in illuminazione esterna inutile. Si tratta del 30% del totale delle luci artificiali notturne, che hanno un impatto di 21 milioni di tonnellate di CO2: per sopperire al danno ambientale, dovremmo piantare 875 milioni di alberi all’anno. 

La situazione in Italia è particolarmente disastrosa: abbiamo il primato del cielo più inquinato tra tutti i paesi industrializzati. Per contrastare il fenomeno ci sono iniziative come M’illumino di meno, volte alla sensibilizzazione sull’argomento, e da qualche anno l’Alto Adige sta cercando di ottenere il riconoscimento dell’IDA per dichiarare l’Altopiano di Asiago un Dark Sky Park. Si tratta di un titolo che certifica la “pulizia” del cielo della zona, che permette una visuale mozzafiato sulle stelle: un’attestazione che possono vantare soltanto una trentina di località in tutto il mondo: al momento nessuna in Italia.