Da non confondere con l’assaggiatore di vino, con cui condivide la conoscenza tecnica e degustativa, la professione del sommelier richiede un’ottima capacità comunicativa e una discreta abilità “psicologica”. Bisogna infatti saper selezionare i prodotti, produrre una carta dei vini di qualità, raccontare le caratteristiche territoriali, storiche e organolettiche del calice che si sta proponendo e infine adattarsi al cliente che ci si trova davanti.
In Italia oggi contiamo più di 60000 diplomati, considerando solo le scuole più famose: AIS, FISAR, FIS, ASPI. Ma qual è il percorso da seguire per essere pronti a gestire la cantina di un’attività ristorativa? Esistono due possibilità.
Ci si può iscrivere a una delle associazioni sopra elencate e intraprendere i corsi che vengono organizzati annualmente. In questo caso ci sarà bisogno di un investimento economico, dai 1500 ai 2000 euro in base alla città di residenza, e di tempo a disposizione per frequentare le lezioni obbligatorie.
I corsi si dividono solitamente in 3 moduli: il primo è dedicato alle origini della viticoltura e dell’enologia, la tecnica della degustazione, i principi basilari del servizio a tavola, comprensivi di temperatura del vino, formazione e gestione di una cantina.
Il secondo livello si concentra sul legame tra vino e territorio: si conosceranno quindi le peculiarità di ciascun vitigno e la storia della produzione, italiana e straniera. Si approfondiranno inoltre le tecniche sulla degustazione del vino, per coglierne tutte le sfumature di gusto e cominciare ad abbinarlo alle pietanze.
L’abbinamento cibo-vino è l’oggetto di studio per quasi tutto il terzo livello. Questo sarà il modulo di studio più pratico, dedicato in larga parte alle prove di assaggio, con vini dalle diverse tipologie e l’attenzione sarà rivolta anche allo studio delle pietanze.
Alla fine dei tre moduli, ciascuno della durata di circa 6 mesi e con un massimo di due assenze totali, si svolge l’esame diviso in due parti: una teorica e una pratica.
La seconda strada che si può intraprendere è definibile con una sola parola: gavetta.
Bisogna crearsi conoscenze nel settore, magari iniziando da cameriere nei ristoranti e concentrandosi via via sempre di più sull’aspetto enologico. Alla pratica va abbinata una buona dose di teoria, affidandosi a dei manuali che approfondiscano le basi acquisite nel lavoro quotidiano.
Come si può intuire, la via autonoma permette di risparmiare denaro, anzi nel frattempo si riesce a guadagnare, e tempo: non ci sarà bisogno di un anno e mezzo per ottenere un certificato e di conseguenza cercare un’occupazione.
I due metodi di formazione sono sullo stesso piano dal punto di vista “legale”, poiché non esiste alcun inquadramento normativo su questa figura professionale. In sostanza, chi lavora come sommelier in un ristorante è a tutti gli effetti un sommelier, pur non avendo ottenuto un diploma.
Chi sa “comunicare il vino” non ha opportunità solamente nella ristorazione, ma anche in enoteche, winebar, gastronomie di pregio, grande, piccola e piccolissima distribuzione.
È importante conoscere le basi della lingua inglese e francese (considerata la lingua del vino), soprattutto in Italia dove è altissimo il numero di turisti stranieri.
Proprio all’estero c’è grande richiesta di sommelier italiani, probabilmente grazie alla qualità dei prodotti riconosciuta in tutto il mondo, oltre che evidentemente una buona preparazione dei nostri concittadini in materia.
La retribuzione di un sommelier professionista, ovviamente, varia a seconda dell’impiego svolto e del datore di lavoro: se un dipendente di un grande albergo o di un ristorante stellato arriva a guadagnare anche 3, 4 mila euro al mese, gli altri percepiscono uno stipendio medio di circa 1.500-2.000 euro al mese. Discorso diverso per i freelance, che si fanno pagare a prestazione: per cui fatturano dopo ogni singolo workshop, evento o fiera a cui lavorano.
Andrea Gori, oste dell’antichissima trattoria Da Burde a Firenze, ha dichiarato: “La maggior parte dei diplomati sceglie però il corso di sommelier come alternativa allo yoga”. E continua: “I corsisti ideali sono medici, avvocati, notai, gente che ha una visione edonista di questo mondo, non professionale.”
Una visione più positiva è offerta da Beppe Palmieri, il maestro del vino dell’Osteria Francescana, più volte sul podio e già in un’occasione premiata come miglior ristorante del mondo: “sala e cantina stanno vivendo un momento incredibile, anche grazie a un pubblico sempre più colto in materia. Credo infatti sia la curiosità dei clienti a migliorarci.”Sulle continue richieste ricevute di aprire una scuola di formazione ammette: “la vera formazione si fa tra i tavoli e un periodo dai tre ai sei mesi può già essere un’ottima palestra”.
Come ultima testimonianza proponiamo quella di Armando Castagno, ex formatore professionale di sommelier, che esorta all’aggiunta di un’abilità fondamentale nella formazione: “Nella sommelleriela difficoltà numero uno è la gestione del patrimonio. La cantina può essere considerata una bomba a mano, perché può fare la fortuna o la rovina di un locale, per questo è indispensabile una preparazione economico-aziendale”.
I maestri del settore sono d’accordo su un punto imprescindibile: bisogna avere una grande passione per i vini, prima di avventurarsi in qualunque tipo di percorso formativo.