Terminata la visita alla domus, il turista sarebbe tornato in strada curioso di scoprire quanto grande fosse la differenza di spazi e arredamenti tra le case dei ricchi e le insulae, le abitazioni della plebe.
Poteva trovarsi davanti tre diversi scenari: un palazzo da cinque o sei piani, uno più piccolo intorno ai tre piani, o addirittura poteva bussare alla porta di una bottega sovrastata da un unico piano.
La prima opzione l’avrebbe incontrata sicuramente nelle vie vicine ai più importanti uffici istituzionali, poiché la costruzione prevedeva costi più alti e si sfruttava più spazio possibile in altezza.
La seconda era la più diffusa dopo l’ascesa al trono di Augusto, che proibì costruzioni superiori ai 20 metri d’altezza a causa dei frequenti incendi da cui i cittadini agli ultimi piani non riuscivano a salvarsi.
Il terzo scenario era invece tipico dei commercianti che lavoravano in una zona più decentrata.Qui solitamente si trovavano delle “case” (nulla a che vedere con le domus) a due piani: il primo destinato alla bottega, il secondo all’abitazione.
Nella maggior parte dei casi oggi chi abita in un attico è ritenuto fortunato. Chiaramente bisogna considerare la presenza o meno dell’ascensore, il tipo di quartiere in cui si abita, il panorama che la terrazza offre, ma in linea generale l’ultimo piano è il più ambito.
Nella Roma antica non era affatto così.
Il primo piano era riservato alle persone più abbienti: spesso si trattava di funzionari del governo municipale, imprenditori, commercianti di successo e costruttori. Da qui si potrebbe immaginare una sorta di scala sociale corrispondente al piano di abitazione: man mano che si salivano le scale ci si trovava davanti una famiglia meno abbiente della precedente. Ma perché?
Prima di tutto è un dato ovvio che queste case non fossero dotate di ascensori. Come accennato, inoltre, gli incendi nelle abitazioni erano molto frequenti: gli edifici erano costruiti con materiali scadenti e spesso gli infissi erano in legno. Utilizzando lanterne e stufe per riscaldare, i materiali prendevano fuoco facilmente: chi viveva al primo piano era ben presto in strada per mettersi in salvo dall’incendio, chi si trovava di sopra molto probabilmente non ce l’avrebbe fatta.
In età imperiale anche questo problema venne parzialmente risolto, utilizzando la pietra al posto del legno negli appartamenti.
Dopo una lunga passeggiata, il turista si sarebbe finalmente deciso a visitare una casa popolare.
Avrebbe trovato un primo piano sicuramente diverso dall’ingresso della domus, ma allo stesso tempo confortevole. Gran parte degli abitanti dell’insula al primo piano infatti godevano dell’allacciamento all’acqua corrente e di bagni privati (sotto il pagamento di una tassa). I condomini più poveri invece avevano nel vano della scala (il dolium) un recipiente in cui svuotare i vasi.
Salendo al secondo piano, l’immaginario visitatore avrebbe trovato un appartamento angusto e privo di servizi. I mobili si limitavano a qualche sedia e cassapanca e, molto probabilmente, entrando nella sala da pranzo si sarebbe ritrovato contemporaneamente nella camera da letto.Avrebbe trovato muri e pavimentazioni decisamente precari. Non di rado le “palazzine” crollavano per la scarsa attenzione in fase di costruzione.
Il lato positivo? Nessuno era isolato. Le finestre e i rari balconi affacciavano in strada, nella città movimentata. Allo stesso tempo però abitare in un’insula voleva dire convivere con i costanti rumori della capitale.
I cittadini meno abbienti avevano diritto a un’abitazione a basso costo a Roma?Decisamente no. Se si desiderava vivere nella capitale dell’impero bisognava prepararsi a pagare affitti salati.
Alcune testimonianze rivelano i prezzi medi degli affitti: al primo piano ci si aggirava intorno ai 3000 sesterzi l’anno. Ai piani superiori intorno ai 2000 (con una somma leggermente inferiore per chi abitava ai piani più alti rispetto ai più bassi).
Il problema è che ad esempio un manovale, categoria che sicuramente abitava i piani alti, guadagnava 5 sesterzi al giorno. Per questo motivo la piccola abitazione veniva ulteriormente divisa con altre famiglie in subaffitto, in modo da riuscire a sostenere le altre spese.
L’affitto doveva essere pagato ogni 6 mesi a un amministratore (l’antenato del nostro amministratore di condominio). A questi veniva affidata la gestione dell’intera palazzina e il proprietario riscuoteva solitamente l’affitto del primo piano, lasciando all’amministratore il resto del guadagno.
Insomma, Roma era già all’epoca una della città più belle del mondo (forse la più bella). Viverci voleva dire avere grandi opportunità lavorative e relazionali. Le terme, i giardini pubblici e ogni tipo di servizio condiviso era a disposizione di tutti i cittadini senza distinzioni di ceto sociale. Arrivare a fine mese però, per gli abitanti delle 46602 insulae, era davvero difficile.