Più di altri alcolici, e forse proprio per il suo valore nella nostra cultura, il vino è la bevanda che porta quel caratteristico stato di euforia, capace di indurre l’individuo a parlare con maggiore franchezza e a rapportarsi agli altri senza troppe inibizioni. Per questo il vino si è rivelato un potente alleato della verità, usato dai potenti per interrogare chi, da sobrio, avrebbe potuto ingannarli.
Era il II secolo d.C. quando il sofista greco Zenobio usò la famosa espressioneper dire che proprio nella bevanda rubina giaceva la verità. Chi ne beveva risultava più espansivo e spesso propenso a confessare segreti che, altrimenti, avrebbe mantenuto tali.
Chi ha fatto di questo detto un vero e proprio mantra – come ben dimostra la lingua in cui tutt’ora circola – furono i latini. In origine l’espressione usata era più ampia: in Vino veritas, in Aqua sanitas. Fu trasmessa per la prima volta da Plinio il Vecchio che pare volesse contrapporre al potere disinibitorio e pericoloso del vino, quello purificatore dell’acqua. Quest’ultima, da tale contrapposizione, sembra essere la bevanda perfetta per fare scelte morigerate e consapevoli.
I Persiani presero spunto dall’analisi di Plinio il Vecchio per affermare che qualunque cosa venisse proferita sotto gli effetti del vino, doveva essere riesaminata una volta che l’individuo in questione fosse tornato sobrio.
E dunque la verità dove sta? Probabilmente andrà sostenuta la tesi di Erasmo da Rotterdam, il quale distingue fra due tipologie di ebbrezza. Una “sfrenata”, che mette a repentaglio la salute dell’uomo e altera la propria visione della realtà, e una “moderata”. Quest’ultima è quella che favorisce la convivialità e libera le emozioni. Ecco che forse, come virtus, in medio stat anche veritas!