Il buco nell’Ozono

Il buco nell’Ozono

La giornata mondiale

Sono trascorsi vent’anni dall’istituzione da parte dell’ONU della Giornata Mondiale per la Preservazione della Fascia d’Ozono. Oggi in tutto il mondo si terranno iniziative e conferenze per continuare a salvaguardare questo importantissimo scudo atmosferico. Vediamo cosa rappresenta la fascia e cosa significa l’espressione ricorrente “buco dell’ozono”.

L’ozonosfera

L’ozono è un elemento chimico molto abbondante nella parte bassa della stratosfera, la seconda a partire dal basso dei cinque strati dell’atmosfera terrestre. Questa zona è appunto detta “ozonosfera” e occupa la fascia che si estende dai 15 ai 35 km di altitudine rispetto al suolo. L’ozono fa parte dei gas serra e svolge un’importantissima funzione: trattenere parte delle radiazioni ultraviolette provenienti dal sole. Questi raggi, non visibili all’occhio umano, sono molto potenti: riescono a spezzare diversi tipi di legami molecolari, arrivando a danneggiare il DNA degli esseri viventi. Sono infatti tra le cause principali di tumori alla pelle. Senza ozono, la vita sulla superficie terrestre come la conosciamo oggi non sarebbe possibile.

Come si forma

Nella nostra atmosfera l’ossigeno si trova normalmente sotto forma di O2: significa che una molecola è formata da una coppia di atomi di ossigeno, che si raggruppano per avere una maggior stabilità. Quando O2 sale e raggiunge la stratosfera, però, viene colpito dai raggi UV, che spezzano il legame. Ecco che gli atomi si riorganizzano e formano una tripletta, cioè l’ozono (O3). Questo reagisce ancora di più con i raggi UV, assorbendoli e lasciandone passare solo una parte.

Il buco

Le sostanze ozono-lesive sono composti che, quando raggiungono l’ozonosfera, reagiscono con l’ozono riconvertendolo in ossigeno. Questo avviene ad esempio con i gas CFC, clorofluorocarburi, utilizzati a partire dagli anni 40 per gli impianti di refrigerazione e in quantità minore nelle bombolette spray. Queste molecole contengono cloro, che reagisce con l’ozono trasformandolo in ossigeno; un singolo atomo di cloro distrugge fino a 10.000 molecole di ozono.

Ogni anno, tra agosto e ottobre, le correnti d’aria trasportano questi gas fino all’ozonosfera sopra i poli, causando la riapertura temporanea del buco. Il fenomeno è stato osservato per la prima volta nel 1981 e il 16 settembre del 1987 è stato preso il primo provvedimento a livello mondiale: il Protocollo di Montreal.

Quel giorno 197 governi hanno firmato degli accordi per regolamentare l’utilizzo e lo smaltimento delle sostanze ozono-lesive, ma per vedere dei risultati abbiamo dovuto attendere per oltre un decennio: i CFC, infatti, permangono molto a lungo nell’atmosfera e per il primo periodo la situazione ha continuato a peggiorare nonostante le limitazioni.

La situazione attuale

Dal report pubblicato dall’ONU a novembre 2018 è emerso che dal 2000 il buco si è ridotto dall’1% al 3% (a seconda della zona) per ogni decennio. Se i progressi dovessero proseguire a questo ritmo, le Nazioni Unite calcolano che l’ozonosfera potrà essere del tutto “ricompattata” nell’emisfero nord già nel 2030, mentre nell’emisfero sud si parla del 2050. Per le regioni polari il completo risanamento è previsto nel 2060.

Anche una ricerca della Nasa ha rivelato che il buco non era così piccolo dal 1988. Gli sforzi per la protezione dell’ozonosfera, inoltre, hanno in parte contribuito alla lotta contro il cambiamento climatico: grazie al protocollo di Montreal, infatti, è stata evitata, tra il 1990 e il 2010, l’emissione di 135mila milioni di tonnellate di anidride carbonica.

Ricordiamo però che buco nell’ozono e effetto-serra sono due fenomeni diversi: mentre per il primo siamo in fase di miglioramento, purtroppo non possiamo ancora dire lo stesso del secondo.