I lieviti in cucina

I lieviti in cucina

Il lievito è una sostanza che assumiamo praticamente tutti i giorni, fin dai tempi degli Egizi. Viene infatti utilizzato nella preparazione di pane, focacce, dolci e moltissimi alimenti e bevande che incontriamo nella quotidianità.

Distinguiamo innanzitutto i lieviti dagli agenti lievitanti. I primi sono popolazioni batteriche e fungine che fermentano, producendo anidride carbonica in modo graduale: sono adatti alla preparazione di pane, focacce, pizze e in generale impasti abbastanza viscosi da poter trattenere l’aria al loro interno. Gli agenti lievitanti sono invece sostanze che, reagendo tra loro, liberano questo gas in maniera più rapida: sono perfetti per i dolci. 

Lieviti 

Il lievito più utilizzato è il lievito di birra, poiché è quello più semplice e veloce da lavorare.
Tradizionalmente veniva ottenuto raccogliendo i depositi sul fondo dei tini, come residuo di lavorazione di questa bevanda; oggi viene prodotto su scala industriale tramite un processo di coltura e germinazione di cellule di lievito selezionato, che viene poi lavato ed essiccato nel caso del lievito di birra secco. 
È una ricca fonte di vitamina B e contiene discrete quantità di selenio, cromo, potassio e magnesio. Naturalmente, non possiamo pensare di supplire al nostro intero fabbisogno di queste sostanze con una semplice pagnotta.

Il lievito madre non è altro che una miscela di acqua e farina lasciata fermentare. Mentre il lievito di birra è composto principalmente da Saccharomyces, il lievito madre include una microflora più vasta: comporta una maggiore digeribilità, una migliore assimilazione di minerali e proteine, non procura gonfiori intestinali e contribuisce a riequilibrare la flora batterica. In più conferisce un indice glicemico minore rispetto al lievito di birra, anche utilizzando farine non integrali.

Agenti lievitanti

Il cremor tartaro è molto utilizzato in pasticceria: salutare e non invasivo a livello di gusto, si trova facilmente nel Regno Unito e negli Stati Uniti, mentre in Italia è meno conosciuto. Si tratta di un sale leggermente acido, che si attiva se abbinato a bicarbonato o a impasti particolarmente basici (come quelli ricchi di albume), generando anidride carbonica che fa lievitare velocemente i dolci. 

Il lievito chimico è quello più diffuso in pasticceria, specialmente in Italia: è composto da una base debole (solitamente bicarbonato di sodio) e da un acido debole (ad esempio difosfato disodico) che, a contatto con l’acqua, si attivano liberando anidride carbonica. 

Il lievito fa male?

I lieviti, come abbiamo visto, contengono diversi micronutrienti utili per l’organismo: in alcuni casi il lievito di birra è anche venduto come integratore di vitamine del gruppo B. 
È stato tuttavia osservato che un consumo consistente è correlato ad un’alterazione del microbiota intestinale: rimane comunque un fattore da accertare con ulteriori ricerche.
Come per ogni alimento, si può dire che “è la dose che fa il veleno”: un consumo eccessivo di prodotti da forno non è mai consigliabile. Per un’alimentazione equilibrata è meglio preferire i cereali interi, meglio se integrali, limitando gli alimenti lievitati ad una o due porzioni al giorno. 

Intolleranza al lievito

In generale non è comprovata l’esistenza di un’intolleranza al lievito.

È possibile che si verifichi l’insorgenza di stanchezza, gonfiore, meteorismo o diarrea, ma si tratta di eventi transitori e per lo più riconducibili a una cottura non completa, con aggiunta di alfa-amilasi e di “miglioratori”, la cui fermentazione nell’intestino può comportare la formazione di gas e una digestione lenta.

Se questi disturbi dovessero perdurare nel tempo, possono essere considerati dei campanelli di allarme di un’eventuale malattia intestinale cronica.

Escluse con certezza, attraverso test specifici, le allergie alimentari al grano, all’alfa–amilasi e ad altri componenti insieme ai quali il lievito viene ingerito, sarà consigliabile una visita specialistica da un gastroenterologo per determinare la vera natura dei sintomi avvertiti e la possibile presenza di malattie croniche intestinali.