Plutarco, scrittore e biografo di origine greca vissuto a Roma nei primi secoli d.C., affermava: “ciò che è nascosto nel cuore di un uomo sobrio, si trova sulla lingua di un uomo ubriaco”. Ecco spiegata l’origine e il significato di uno dei detti romani che utilizziamo ancora oggi.
Secondo diverse testimonianze, il primo re romano Romolo aveva istituito lo ius osculi: la pratica consisteva nel diritto da parte del pater familias di baciare la propria donna per assicurarsi che non avesse bevuto vino. Le donne colpevoli erano condannate a morte per inedia o bastonate.
Fortunatamente, con la nascita della Repubblica e l’apertura alle altre culture,il vino entrò sempre più nella vita quotidiana dei Romani loius osculivenne abolito: si racconta infatti che Livia, la moglie del primo imperatore Augusto, sostenesse di aver raggiunto una sana vecchiaia grazie al vino bevuto durante i pasti.
I trattati più preziosi sul tema provengono dallo stesso periodo storico, quello dell’imperatore Augusto, nel quale convissero due grandi scrittori: Columella e Plinio il Vecchio. Il primo compose ilDe re rustica, un trattato dettagliato sulle tecniche agricole, giunto ai giorni nostri in forma completa.Interessante è la descrizione dellevillae rusticae: vere e proprie aziende agricole con una media di circa 200 ettari di terreno coltivabile, dovesi produceva a ritmi paragonabili alle grandi aziende attuali. Diversi storici, infatti, parlano delle villae come il momento di massima efficienza agricola romana (risultati che purtroppo erano dovuti a un massiccio impiego della schiavitù).
Plinio ha affrontato il discorso della produzione nel suoNaturalis Historia, elencando 91 vitigni diversi che producevano 195 tipologie di vino. Ha poi raggruppato nel dettaglio tutti i tipi con caratteristiche simili, distinguendo vini generosi, oltremarini, dolci, contraffatti, prodigiosi.
Con il progressivo incremento della produzione, nacquero anche dei lavori specifici.
Ilmagister bibendi, ad esempio, aveva il compito di decidere con quanta acqua diluire il mosto e se usare acqua calda o fredda. In tutti i banchetti e in generale nelle “taverne” dell’epoca, il vino veniva infatti diluito. Chi lo preferiva “puro” veniva considerato un ubriacone.
Glihaustores,invece, assaggiavano il vino e lo classificavano in base alla qualità e all’uso a cui destinarlo.
L’Italia meridionale era considerata la zona più adatta alla produzione, nonché la migliore in termini di qualità.
Il vino più famoso, più apprezzato e in seguito più esportato era il Falernum: si otteneva dai vigneti lungo le pendici del monte Massico, in Campania. Gli abitanti di quelle zone erano descritti come i più esperti conoscitori delle tecniche di coltivazione, infatti le villaerusticae campane fungevano da modello per il resto della Penisola.
Il Falerno è un ottimo vino ancora oggi, anche se le uve bianche che lo componevano sono state sostituite da vitigni 100% Falanghina.
La capacità produttiva crebbe a dismisura con il passare degli anni e tutte le tecniche utilizzate vennero tramandate di generazione in generazione, favorendo una differenziazione geografica che ci permette oggi di trattare oltre 500 vigneti in tutta Italia.
Brindare all’amicizia, all’amore, all’onore di un defunto o ad un progetto rivolgendosi alla Dea Fortuna, è una tradizione che abbiamo ereditato dai nostri antenati e non abbiamo intenzione di abbandonare.