Le attività umane derivano dall’osservazione della natura e la replicazione dei fenomeni vantaggiosi.
I raccoglitori impararono a riconoscere le condizioni in cui crescevano le piante utili per l’alimentazione e cercavano di riprodurle: ad esempio, vedere che la vegetazione era rigogliosa vicino ai corsi d’acqua e scarsa nelle zone siccitose insegnò l’importanza dell’irrigazione.
Lo stesso accadde con gli incendi spontanei. Quando un’area boschiva andava in fiamme, dalle ceneri fertili cresceva una vegetazione tenera e in parte commestibile, cioè quella che noi chiameremmo insalata. Dall’attendere che un fulmine colpisse un albero, una volta padroneggiato il fuoco, si passò all’appiccare incendi per ottenere nuovi germogli freschi.
Questo metodo, chiamato ignicoltura, era adatto solo a territori dove queste piante potevano crescere spontanee e dove la densità di popolazione sia minima, condizione che nel Neolitico non era più presente.
L’evoluzione fu quindi l’incendio seguito dalla lavorazione grossolana del terreno e la successiva semina: una pratica chiamata slash and burn. Nelle Alpi occidentali questa tecnica è stata praticata fino al Novecento, ma era applicata largamente in molte aree dell’Europa centrale e settentrionale.
Il nome della Svezia deriva dal termine nordico Schwenden, che significava “radura erbosa ottenuta disboscando con il fuoco”. Dato il clima umido, prima di incendiare la vegetazione era necessario far seccare gli alberi praticando delle incisioni circolari nella corteccia, bloccando così la circolazione della linfa.
Il nome della Svizzera deriva dal termine Svith, con cui si indicavano le radure erbose in gotico.
Piccola nota sullo slash and burn
Purtroppo lo slash and burn si riscontra ancora in zone protette e sta provocando un progressivo disboscamento di ecosistemi come la Foresta Amazzonica. Non è più allo scopo di produrre insalata, ma monocolture destinate all’alimentazione umana o all’allevamento.
Nell’antica Grecia si consumavano spesso verdure sia cotte che crude, ma dopo l’arrivo dei Romani prevalse il consumo di carne su quello di verdura. Al contrario, erano stati i Romani ad insegnare agli Etruschi l’utilizzo dei prodotti da orto.
Nei banchetti le insalate venivano generalmente consumate alla fine; gli antichi Romani apprezzavano soprattutto la lattuga, cui attribuivano proprietà terapeutiche. Anche le legioni la coltivavanonel castrum, l’accampamento fortificato.
L’orto divenne fondamentale con le invasioni barbariche, quando saccheggi e devastazioni limitarono le risorse al di fuori dei cortili di casa: era quindi presente presso quasi tutte le abitazioni medievali, come fonte di cibo fresco, che non esigeva conservazione. Per chi abitava in città era più difficile avere a disposizione verdura fresca: la vendita era molto limitata ed era necessario raccogliere erbe selvatiche nei campi, fuori dalle mura.
Presso i conventi era molto importante la cura del giardino botanico, coltivato a insalate ed erbe medicinali.
Nel Rinascimento aumentò il numero di cuochi che consigliavano l’utilizzo di insalate a tavola. Bartolomeo Sacchi, cuoco al servizio di tre papi, scrisse “De honesta voluptate e valetudine”, un trattato di gastronomia dove dedica ampio spazio ai modi per condirle e alle proprietà delle singole varietà.
Questo interesse per le insalate, che nelle tavole dei ricchi servivano ad accompagnare la selvaggina e in quelle dei meno abbienti erano incluse in frittate, focacce e torte salate, continuò fino ai giorni nostri, dove possiamo apprezzarne moltissime varietà quasi tutto l’anno: la lattuga, apprezzta per la sua versatilità e leggerezza, è l’ortaggio più consumato in tutto in mondo dopo patate e pomodori.