Cosa significa vino biologico

Cosa significa vino biologico

Cosa significa biologico

È possibile definire ufficialmente un vino biologico solo da otto anni, ma il mercato mondiale di questo prodotto ha già registrato una crescita impressionante.

Il Regolamento europeo 203/2012 ha infatti messo nero su bianco le caratteristiche che un vino deve avere per potersi definire biologico.I produttori, per ottenere la certificazione, devono astenersi dall’utilizzo di sostanze di sintesi, sia in fase di coltivazione che in fase di vinificazione. La quantità massima di solfiti accettata per i vini biologici è di 100 mg/l per i rossi e 150 mg/l per bianchi e rosé. Per ottenere la certificazione e poter apporre il marchio dell’agricoltura biologica in etichetta è necessario sottoporsi a severi controlli che interessano l’intera filiera.

Un po’ di numeri

L’Europa, con 293000 ettari destinati alla produzione di vino biologicocopre attualmente l’88% delle superfici “biologiche” di tutto il mondo.

I certificati sono stati immessi solamente nel 2012, ma diversi produttori utilizzavano già da tempo le tecniche di coltivazione e vinificazione “green”. Un’indagine IWSR (il principale istituto di analisi del mercato degli alcolici e dei vini), infatti, ha riscontrato una crescita del 234% di vigneti coltivati biologicamente tra il 2007 e il 2017.

Nella nostra penisola il 12% della superficie totale è coltivata a biologico garantendo una produzione complessiva di 500 milioni di litri di vino. Le stime dello scorso anno mostrano un raddoppiamento delle superfici “al naturale” rispetto al 2014 in primis grazie a Sicilia, Puglia e Toscana che guidano il podio delle Regioni con maggiore superficie biologica a vigneto, occupando quasi i due terzi del totale nazionale.

A livello economico, dalla mappatura del mercato proposto da Vinitaly Bio nel 2015, questo settore registrava un valore di 205 milioni di euro, di cui 68 derivanti dal mercato interno e 137 dall’export. Numeri che danno un’idea dell’apprezzamento del vino bio italiano fuori confine: non a caso lo scorso anno, dall’otto al dieci giugno, la città di Asti ha ospitato il primo Salone Internazionale del Vino Biologico.

In quell’occasione Vincenzo Gerbi, professore del dipartimento di Scienze Agrarie e Alimentari dell’Università di Torino, ha fatto notare: “Il principio di sostenibilità deve giustamente ispirare tutti i produttori, ma la conoscenza e le tecnologie devono essere rispettate e affinate continuamente, senza cedere a suggestioni emozionali”. Il termine sostenibilità viene spesso utilizzato per riferirsi esclusivamente all’ambiente, in realtà comprende diversi fattori, compreso quello economico.

Sostenibilità

A tal proposito riportiamo le parole del professor Attilio Scienza in un’intervista rilasciata al “Sole24ore”: “La chiave della sostenibilità è l’efficienza. Attenzione però alle semplificazioni eccessive, non basta semplicemente ridurre diserbanti e concimi. O meglio, ridurli contribuisce di certo a migliorare l’ambiente ma può avere un effetto devastante sui conti dell’azienda viticola. Perché si può anche innalzare il prezzo della singola bottiglia ma se si produce molto meno come volumi complessivi, i vantaggi rischiano di rivelarsi modesti. La sostenibilità quindi passa dall’innovazione e da alcuni contributi…”

I contributi di cui parla il professore sono già esistenti e molto interessanti. L’ibridazione delle viti (mediante normale impollinazione) permette di renderle più resistenti a certe condizioni climatiche o malattie; un altro strumento che può semplificare e perciò accrescere la produzione dei vini biologici si chiama “Sentinel 2B”: un satellite lanciato da un’azienda italiana, capace di rilevare le condizioni meteo in maniera efficace con una precisione di circa 10 metri quadrati. In questo modo i produttori riescono a organizzare il lavoro senza inconvenienti, minimizzando i trattamenti e migliorando ulteriormente la qualità dell’uva.

Quali rischi

Una domanda risulta spontanea: perché, se preserva l’ambiente e non prevede costi eccessivi, il vino biologico non sostituisce definitivamente i vini ottenuti da metodi tradizionali?

La risposta deriva dalla funzione che ricoprono gli agenti chimici utilizzati nelle varie fasi di produzione. Intanto bisogna dire che i solfiti, per la maggior parte, sono degli allergeni e un loro accumulo può risultare dannoso per la salute. Una piccola quantità di questi composti è presente naturalmente nel vino, anche in quello biologico, come prodotto della fermentazione. Uno di questi è l’anidride solforosa (SO2): svolge una funzione antiossidante, conservante e antisettica, bloccando la crescita di batteri e altri microrganismi indesiderati che potrebbero modificare la fermentazione e generare sapori e odori sgradevoli.

Quando i solfiti naturalmente contenuti nel vino sono pochi, i produttori decidono di aggiungerne, per preservare le qualità del prodotto. Il fatto di non utilizzare (o limitare fortemente) l’uso di additivi, può perciò comportare rischi altissimi a livello qualitativo. Inoltre una stessa azienda vinicola può proporre ogni anno un prodotto di qualità differente (poiché ci si affida alla natura senza tocchi artificiali), rischiando di rendere il consumatore indeciso.

Fortunatamente, al Vinitaly 2019, i presidenti di Federbio e Coldiretti hanno sottoscritto un patto “salva-bio” per garantire la qualità di tutti i prodotti biologici del nostro Paese. L’iniziativa prevede la totale trasparenza delle informazioni lungo tutta la filiera, anche nel caso di prodotti importati.