Tra gli alberi che caratterizzano le campagne siciliane e sarde c’è il carrubo, una pianta sempreverde tipica del Mediterraneo i cui frutti trovano largo uso in cucina e non solo. Si presentano con una scorza scura e crostosa che racchiude una polpa carnosa e 10-15 semi molto duri. Dalla macinazione delle carrube si possono ottenere due prodotti diversi: la farina di polpa, ricavata polverizzando l’intero baccello, e la farina di semi, un composto chiaro e impalpabile.
La polpa di carruba polverizzata ha un colore marrone chiaro, ricca di sostanze zuccherine e proposta come alternativa al cacao amaro. Può essere usata in diverse preparazioni dolci, sia in cottura che a crudo, anche se sarà bene sottolineare che, una volta cotta, il sapore della farina di polpa di carruba diventa molto più intenso e aromatico. Bisogna perciò dosarla e combinarla preferibilmente ad altri ingredienti che ne mitighino il gusto.
La farina di semi di carrube invece è conosciuta con la sigla E40 ed è uno stabilizzante naturale utilizzato soprattutto nell’industria alimentare per addensare formaggi o ancora gelati. Per via della pectina contenuta nei semi, questo composto, una volta disciolto in acqua calda, dà origine a soluzioni viscose.
La parola “carato” deriverebbe dall’arabo qirat, ossia carrubo. Un tempo i semi della pianta venivano utilizzati per pesare oro e pietre preziose poiché si pensava avessero forma e peso costanti, pari a ⅕ di grammo. Successivamente l’Università di Zurigo ha smentito tale credenza, dicendo che la massa di questi semi varia al pari di quella di tutti gli altri.
Dal punto di vista nutrizionale, la carruba è un frutto particolarmente ricco di vitamine (dei gruppi, A, B e D) e minerali, specie di calcio.
Facente parte della famiglia dei legumi, la carruba è anche fonte di aminoacidi essenziali e proteine di origine vegetale. È anche ricca di antiossidanti e fibre che la rende ideale per trattare vari disturbi intestinali e favorire la digestione.