E’ un dato oggettivo e palese che i veicoli elettrici emettono meno Co2, ma è bene sapere che l’anidride carbonica non è l’unico elemento inquinante legato all’industria dei trasporti. Bisogna perciò evitare affermazioni del tipo: “l’elettrico eliminerà l’inquinamento”, se non si conoscono tutte le fasi che portano alla realizzazione di un veicolo di questo tipo.
La fase a più alto impatto ambientale è quella della produzione delle batterie.
Queste sono composte da: alluminio, rame, cobalto, nichel, manganese e litio. Tutti elementi con caratteristiche chimico-fisiche che non consentono un semplice smaltimento. E qui arriva il secondo problema: le tecniche di riciclaggio delle batterie sono ancora alle fasi sperimentali. I margini di miglioramento sono però enormi, considerando che la produzione su larga scala dei veicoli elettrici è in atto da pochi decenni.
Il Paese europeo più attivo in termini di ricerca sul tema è la Francia. Attualmente conta poco più di 130000 veicoli elettrici in circolazione, ma il governo si è dato degli obiettivi importanti entro il 2030, inserendo il trasporto “green” al centro delle strategie per ridurre l’inquinamento nel Paese.
La “European Climate Foundation” e la “Fondation pour la Nature et l’Homme” hanno coinvolto diverse aziende del settore dei trasporti francese, in una ricerca che esamina l’impatto ambientale dei veicoli elettrici nell’intero ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento.
E’ stato dimostrato che le emissioni di gas serra diminuiscono dal 44 a il 63% rispetto ai veicoli diesel e benzina, in base al peso delle vetture.
In Italia nel 2020 sono stati stanziati 2.6 miliardi di euro totali per l’acquisto da parte delle regioni dei bus ecologici, con motori completamente elettrici.
L’azienda milanese ATM ha annunciato che nel 2030 tutti gli autobus in città passeranno all’alimentazione elettrica. Si stima una risparmio di CO2 pari a 75 milioni di tonnellate.
Passi in avanti si sono registrati anche nel settore dei taxi. A Firenze per esempio, grazie a un piano di supporto a 360 gradi fornito a quelli che sarebbero stati i futuri tassisti elettrici, sono state emesse 70 licenze già nel 2017. Il tassista poteva aderire a una soluzione “all inclusive” di Nissan, comprensiva di stazione di ricarica domestica Enel, con l’obiettivo di poter ricaricare l’auto nella tranquillità del garage sotto casa e avere quindi al mattino l’autonomia chilometrica per poter svolgere l’intera giornata lavorativa senza problemi.
Cosa impedisce allo stato attuale un “passaggio di massa” all’elettrico?
I costi troppo elevati, che però dipendono proprio dalla scarsa domanda. Il primo problema è perciò risolvibile con misure di agevolazione che attivino un sistema di produzione a ritmi cosiddetti “industriali”, in modo da aumentare la competitività con conseguente riduzione dei prezzi.
Ciò che più concretamente frena le persone nell’acquisto di un auto elettrica è la scarsa autonomia di percorrenza.
Ad oggi si è arrivati ad un massimo di 500 km di autonomia, sufficienti per gli spostamenti di un lavoratore pendolare. Con le attuali tempistiche di ricarica è però impensabile intraprendere un lungo viaggio.
L’AD di Enel Francesco Storace a tal proposito, in un’intervista rilasciata pochi giorni fa ad “Affari & Finanza”, promette: “Avremo presto un’autonomia di 1000 km”.
Una soluzione al problema dei lunghi tempi di ricarica sembra arrivare da un ricercatore australiano, anche se ancora in corso di perfezionamento. Si tratta della batteria di flusso. Quest’ultima utilizza degli elettroliti che, attraverso vari passaggi, trasformano la loro energia chimica in elettrica. L’energia è contenuta in un fluido, quindi quando l’energia elettrica è terminata, basta sostituire il liquido “scarico” con uno carico. Il risultato è una batteria che si ricarica senza doverla collegare a una presa di corrente. In sostanza si passerebbe dal normale rifornimento di benzina ad un rifornimento di energia elettrica, con tempi pressoché identici. Tuttavia l’elemento innovativo più importante è un altro: il liquido non esaurisce il suo ciclo una volta consumatasi la carica elettrica; viene rigenerato all’interno di appositi centri – utilizzando anche energia solare – e rimesso in circolo nella rete di distributori.
Una proposta che, se dovesse dimostrarsi applicabile ai veicoli, permetterebbe di superare una parte consistente degli ostacoli al passaggio all’elettrico.
Il 15 luglio 1907 il primo Electrobus fece il suo ingresso nelle strade di Londra.
La sua autonomia era di appena 60 chilometri e la ricarica delle batterie richiedeva 8 ore, ma gli ingegneri della compagnia avevano inventato un metodo molto ingegnosoper rimettere in strada rapidamente il bus. Il mezzo raggiungeva una officina attrezzata dove, in soli tre minuti, il suo pacco di batterie veniva sostituito.
Nel giro di pochi mesi i cittadini erano estasiati da questo servizio così poco rumoroso e per nulla maleodorante. L’euforia però durò ben poco. Edward Ernest Lehwess ed Edward “Teddy” Beall, gli inventori dell’Electrobus, decisero di approfittare del successo che stavano ottenendo per truffare migliaia di cittadini.
Con l’annuncio che avrebbero in pochi anni prodotto 300 Electrobus, i due spinsero le persone a comprare leazioni della società, promettendo un ritorno del 25% annuo sull’investimento. Il guadagno fu impressionante: circa 300000 sterline, corrispondenti agli odierni 30 milioni di euro.
In realtà non non esisteva nessun brevetto che permetteva di produrre il numero di mezzi promesso; così nel giro di un paio di anni i giornali iniziarono ad informare i cittadini della truffa subita.
Esattamente il 3 gennaio 1910 gli Electrobus sparirono dalla circolazione.
Probabilmente se le cose fossero andate diversamente, a quest’ora non sarebbe necessaria una rivoluzione per salvaguardare l’ambiente.
D’altronde la colpa è sempre dei furbetti, in un modo o nell’altro.
Le ricerche in tutto il mondo progrediscono: i colossi aziendali dei trasporti stanno virando tutti nella stessa direzione. Le politiche degli Stati e anche delle singole città si pongono obiettivi concreti a breve termine sul passaggio all’elettrico.
È evidente che macchine, bus, taxi e treni che dimezzano l’emissione di gas tossici sono un obiettivo da perseguire a livello globale.
Gli esperti dovranno darsi ancora da fare per ridurre l’impatto delle batterie. Il rischio, infatti, è quello di incorrere in un processo paradossale, riducendo l’inquinamento a breve termine ma aumentandolo sul lungo periodo.