Sono tra i prodotti più presenti sul nostro pianeta, nonché, purtroppo, tra i più inquinanti.
Per garantire la sicurezza sulle strade c’è bisogno di un frequente ricambio di pneumatici poiché, per le loro caratteristiche, tendono a usurarsi in breve tempo.
Alcuni studi risalenti al 2017 hanno scoperto che dal 10 al 28% dei materiali inquinanti presenti negli oceani provengono dagli pneumatici.
La “coscienza green” sembra però essere arrivata anche alle grandi case produttrici, portando allo sviluppo di progetti ambiziosi, che puntano a ridurre in modo massiccio l’impatto ambientale di questi prodotti.
Per migliaia di anni le ruote sono state fatte di legno o di pietra e non è servita alcuna copertura. Per attutire la corsa è stato poi aggiunto del cuoio sulla superficie, seguito dalla gomma solida. Le automobili furono inventate alla fine dell’Ottocento e pneumatici e camere d’aria arrivarono poco dopo.
All’epoca la gomma degli pneumatici proveniva principalmente dagli alberi della gomma, e ciò contribuì alla deforestazione massiva del pianeta. All’alba del Ventesimo secolo, però, le automobili si fecero meno costose e più diffuse: il mondo iniziò ad aver bisogno di più gomma di quanta ce ne fosse disponibile. L’improvvisa carenza di materia prima verificatasi al termine della guerra, da un lato rese evidente l’importanza economica e politica della gomma naturale, dall’altro stimolò la ricerca di prodotti alternativi, in particolar modo di gomma sintetica. I primi pneumatici sintetici prodotti furono ilpolisoprenein Germania nel 1909 ed ilpolibutadienein Russia nel 1910. Importante fu anche l’invenzione della gomma stirene-butadiene ad opera di chimici tedeschi nel 1935.
Potendo essere prodotti su larga scala, i nuovi materiali fecero abbassare considerevolmente i prezzi, ma non si tenne conto di un grande dettaglio: non sono biodegradabili.
Oggi la gomma sintetica costituisce circa il 60% del corpo degli pneumatici, un’altra buona percentuale deriva da materiale naturale, il resto è occupato da alcuni metalli, anch’essi difficili da smaltire.
La gomma naturale che l’uomo ha sfruttato per dar vita alle sue gomme artificiali si ricava dall’hevea brasiliensis, una pianta diffusa nel Brasile settentrionale, principalmente nella regione amazzonica.Incidendo la corteccia dell’albero si ricava del lattice, che viene poi miscelato con alcune sostanze dando vita al caucciù: la gomma naturale.
Nel 1855 l’americano Charles Goodyear scoprì un processo chimico che riusciva sostanzialmente a rendere più elastico e resistente il caucciù. La reazione prende il nome di vulcanizzazione e consiste nel far reagire a caldo la gomma con zolfo e suoi derivati, con l’aggiunta di altre sostanze che rendono più efficace la reazione principale. Il procedimento stabilisce “ponti” di zolfo, un tipo di legami chimici, tra le catene di molecole che costituiscono la gomma e che sono divise tra di loro, creando un vero e proprio reticolo stabile. Questo impedisce al materiale naturale di deformarsi e di rammollire se la temperatura sale, e gli conferisce la caratteristica elasticità. A seconda della quantità di zolfo impiegato, si ottengono gomme più o meno dure.
Il caucciù è riciclabile al 100%, il problema è che la pianta da cui deriva ha bisogno di condizioni climatiche particolari per potersi sviluppare, tanto che ancora oggi la si può trovare solo in zone tropicali.
L’istituto Fraunhofer di biologia molecolare ed ecologia applicata, insieme al centro di ricerca agricola Julius Kühn-Institut e all’Aeskulap GmbH ha sperimentato l’utilizzo di un prodotto alternativo al caucciù per la produzione di pneumatici. Si estrae dal tarassaco, una pianta di gran lunga più comune rispetto all’hevea brasiliensis. Il tarassaco infatti non richiede cure eccessive e può essere coltivato nei climi nordeuropei e in terreni poco fertili. Questo consentirà di evitare lunghi viaggi della materia prima tradizionale proveniente dalle piantagioni di alberi di gomma tropicali. Inoltre non ci sarà più la necessità di sacrificare le foreste pluviali. Ciò permetterà una riduzione dell’impatto ambientale e un aumento della biodiversità.
Grazie alle ricerche è iniziata la coltivazione di una specie di tarassaco russo molto resistente e ad elevato rendimento, e si sta lavorando nel laboratorio TLA (Taraxagum Lab Anklam) per renderne possibile l’industrializzazione. I prototipi degli pneumatici prodotti hanno già superato le fasi di test.
È in fase di sperimentazione anche l’utilizzo dell’amido di mais al posto della silice e del nerofumo, che renderebbe il prodotto finale compostabile e biodegradabile, a differenza degli attuali pneumatici, che impiegano circa 100 anni per decomporsi.
Senz’aria, composto unicamente da materiali provenienti da fonti sostenibili, connesso, personalizzabile e completamente biodegradabile. Sono queste le caratteristiche del nuovo pneumatico in progettazione nelle fabbriche Michelin.
Il potenziale per lʼindustria dell’innovativo prodotto e delle tecnologie a cui è applicato è enorme, perché stravolge del tutto la filiera produttiva di un settore fondamentale, visti i miliardi di gomme che vengono prodotte ogni anno nel mondo. Rivoluzionati saranno anche la gestione e i costi del pacchetto pneumatici di un veicolo. Attraverso lʼapp di riferimento,basta un clic sullo schermo per ricaricare lo pneumatico oppure modificarne il battistrada per un diverso utilizzo. E girare con le ruote sgonfie in cerca di un gommista diventerà il ricordo lontano di generazioni passate. La strategia annunciata a Montreal prevede che entro il 2048 gli pneumatici Michelin saranno composti all’80% da materiali sostenibili e che, se tutti i protagonisti della filiera saranno coinvolti, si possa arrivare al 100% del riciclaggio a fine vita.
Su scala mondiale il tasso di recupero degli pneumatici è attualmente del 70% ma, poiché molti vengono bruciati per produrre energia, il tasso di riciclo scende al 50%. Al traguardo del 2048, con gli obiettivi annunciati, sarà possibile ottenere un risparmio pari a 33 milioni di barili di petrolio ogni anno (cioè il carico di 16,5 superpetroliere). Valutando il 100% di riciclaggio a fine vita in termini di energia, si può arrivare a un taglio dei consumi pari a 54.000 GWh, l’energia totale consumata in un mese in un Paese delle dimensioni della Francia.
Il Gruppo francese propone di sviluppare partnership e di identificare nuovi modi per riciclare gli pneumatici e anche nuovi sbocchi per il riciclo.
In quest’ottica, nel 2017 si è tenuto un hackathon relativo a soluzioni che prevedano l’uso di granulato di gomma, ricavato appunto da pneumatici da riciclare. Ha vinto il progetto Black Pillow, che propone la creazione di arredi urbani, come ad esempio i pilastrini per i marciapiede, realizzati con questo materiale e quindi molto più sicuri e meno invasivi rispetto al cemento o alla pietra.
Inserire uno pneumatico tra i prodotti ecologici può risultare una forzatura, ma oggi, grazie ai progetti che abbiamo visto e ad altri molto validi che sono in fase di sperimentazione, è diventata una sfida.
La scoperta del tarassaco rappresenta un balzo enorme in direzione dell’ambiente, perché permette di preservare una zona molto delicata, che per anni è stata vittima di pericolose desertificazioni. La riuscita del progetto Vision invece vorrebbe dire aver sconfitto definitivamente il problema. Ciò che risulta più importante, aldilà dei risultati che ne conseguiranno, è il fatto che le grandi aziende sentano la necessità di investire nella prevenzione dell’ambiente. Sicuramente, come per ogni attività commerciale, ci sarà la prospettiva di guadagno economico a stimolare le iniziative, ma poco importa. Il pianeta ha bisogno di persone che lo salvaguardino.