In passato era chiamato “oro bianco”, tanto era ritenuto prezioso: era difficile ricavarlo e veniva contrabbandato e usato come merce di scambio. Chi ha un po’ di sale in zucca, avrà anche sentito dire che in tempi non proprio recenti si combattevano delle guerre: le guerre del sale.
Oggi siamo molto fortunati, perché disponiamo abbondantemente del pregiato minerale.
Il sale viene dal mare, presente e passato: oltre a ricavarlo dalle saline, infatti, viene estratto da ciò che resta di antichi bacini di acqua salata.
Le saline sono dei siti artificiali composti da diverse vasche comunicanti, che attraverso delle pompe vengono riempite di acqua marina.
Per estrarre cloruro di sodio (NaCl), il nostro sale da cucina, viene sfruttato il calore generato dall’energia solare. Negli ultimi anni tuttavia, per accelerare i processi, si utilizza anche una piccola percentuale di energia elettrica.
L’acqua di mare viene fatta entrare nelle prime vasche dove il calore solare comincia a farla evaporare. Le fasi successive prevedono il passaggio da una vasca all’altra, con aumento costante della densità: raggiunto l’1.13 g/mL , il primo a depositarsi è il solfato di calcio.
La soluzione viene trasferita quindi negli ultimi contenitori, detti salanti, dove, raggiunta la densità di 1.21 g/mL, inizia la precipitazione di cloruro di sodio molto puro per uso alimentare. Le vasche salanti assumono colore rosso per la comparsa dell’alga “Dunialella” salina, che vive solo nelle soluzioni saline concentrate. È lei, con la sua suggestiva presenza, ad avvertire i lavoratori che il sale è pronto per essere raccolto.
Inizia poi la delicata operazione dell’estrazione del sale dal fondo delle vasche. Il cloruro di sodio deve essere raccolto quando i suoi cristalli hanno tutti la stessa dimensione di circa un centimetro; dopo l’estrazione verrà lavato e purificato, in modo da ottenere NaCl al 99.99%.
Il salgemma, in gergo tecnico “halite”, è il sale lasciato dall’evaporazione delle lagune dei mari di milioni di anni fa. Nelle regioni desertiche si può trovare in superficie, mentre negli altri casi sarà depositato nel sottosuolo, richiedendo quindi l’utilizzo di escavatori e altri macchinari per essere estratto in grossi pezzi.
Seguendo il metodo più innovativo, i cristalli di sale impuri, trasportati su un nastro rivestito di resina vinilica, vengono sottoposti all’azione di raggi infrarossi. Rispetto al salgemma, le impurità sono più sensibili a queste radiazioni e si riscaldano più velocemente, rammollendo la resina e rimanendovi appiccicate. A questo punto è possibile separare il cloruro di sodio.
Un altro modo di estrarre il sale dal sottosuolo è solubilizzarlo in acqua e farlo risalire in superficie.
Nei fori di trivellazione vengono inseriti 3 tubi concentrici: quello intermedio immette acqua nel giacimento, sciogliendo il sale. Quello centrale, il più stretto, riporta in superficie la salamoia formatasi e quello più esterno convoglia l’azoto sotto pressione, per regolare la velocità di risalita della soluzione.
La salamoia grezza contiene, oltre a 310 g di sale puro, anche 6–8 g di sali di calcio e magnesio per litro. I sali secondari (calcio, magnesio) devono essere eliminati per isolare l’NaCl.
Il processo che trasforma la salamoia grezza in sale da cucina inizia con l’addolcimento. Si ottiene tramite l’aggiunta di calce viva, soda e anidride carbonica, attivando dei processi chimici che permettono di isolare le sostanze di scarto, come i sali sopra citati, fanghi e gesso.
La salamoia purificata viene immessa all’interno di specifici evaporatori. Al raggiungimento di 140 gradi, il sale si cristallizza e si raccoglie sotto forma di massa umida all’estremità inferiore dell’evaporatore.
L’ultima fase è detta essiccazione: la massa umida raccolta dal fondo dell’evaporatore viene inserita in delle centrifughe ottenendo una quasi totale separazione di acqua e sale: rimarrà solo il 2% di acqua sotto forma di umidità.
Il sale ottenuto raggiunge l’essiccatoio a letto fluido: un flusso d’aria calda farà evaporare gli utili residui di acqua, lasciandone solo pochi millilitri per 100 kg.
Negli ultimi anni vanno sempre più di moda i sali “colorati”: il sale rosa, rosso, nero, viola. A tavola fanno indubbiamente bella figura, ma non hanno le particolari proprietà curative o benefiche spesso millantante da chi li vende a prezzi folli. A conferire le colorazioni così particolari, infatti, è semplicemente la presenza (minima) di altre sostanze:
Per quanto il ferro sia un micronutriente fondamentale della dieta, assumerlo attraverso il sale non è la migliore delle idee: per ottenerne un apporto significativo dovremmo mangiare il sale rosa a cucchiaiate, il che non sarebbe il massimo per l’organismo.
Un discorso a parte va fatto per lo iodio aggiunto nel sale da cucina, ma di questo parleremo più avanti.